COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Un papa venuto a capovolgere il capovolto

Tre secoli dopo la nascita di Gesù Cristo, il cristianesimo veniva capovolto. La conversione dell’imperatore Costantino faceva di lui, cioè del detentore del potere politico, economico e temporale, il capo della Chiesa di colui che era nato in una stalla. I suoi seguaci non erano più nelle catacombe, ma nei palazzi del potere imperiale. Più avanti, in epoca medievale, un falso smaccato, veniva redatto per consegnare al vescovo di Roma il potere temporale su un vasto territorio, lo stato pontificio. Cominciava così la lunga storia del costantinismo, nel quale la Chiesa cattolica si riteneva intestataria di ben tre poteri. Il papa da allora infatti è padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo e il triregno era la tiara con cui veniva incoronato nella Basilica Vaticana il 29 giugno, festa del santo. Si è dovuto attendere il Concilio Vaticano II perché, durante una sessione di quei lavori, il pontefice regnante, Paolo VI, dopo aver ascoltato l’intervento del patriarca melchita, si alzasse e deponesse sull’altare quella tiara, per mai più riprenderla. La rinuncia di Paolo VI ha segnato una svolta religiosa, culturale, spirituale e politica, ma non tutti l’hanno capita, o condivisa. La Chiesa doveva, per loro, rimanere con il potere e per il potere. Non con i pastori cui venne annunciata la nascita di Gesù fuori dal caravanserraglio di Betlemme, ma con i potenti. La teologia di sostegno a questa visione è stata riposta nel cassetto della storia della Chiesa dal Concilio Vaticano II, ma non è uscita dai cuori di molti.

Ecco spiegato il valore enorme di quanto detto ieri da Papa Francesco. “ Colui che non aveva un posto per nascere viene annunciato a quelli che non avevano posto alle tavole e nelle vie della città», ha spiegato Bergoglio: «I pastori sono i primi destinatari di questa Buona Notizia. Per il loro lavoro, erano uomini e donne che dovevano vivere ai margini della società. Le loro condizioni di vita, i luoghi in cui erano obbligati a stare, impedivano loro di osservare tutte le prescrizioni rituali di purificazione religiosa e, perciò, erano considerati impuri. La loro pelle, i loro vestiti, l’odore, il modo di parlare, l’origine li tradiva. Tutto in loro generava diffidenza. Uomini e donne da cui bisognava stare lontani, avere timore; li si considerava pagani tra i credenti, peccatori tra i giusti, stranieri tra i cittadini. A loro – pagani, peccatori e stranieri – l’angelo dice: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”.

La missione dei seguaci di colui che era nato non tra i principi, non tra i marmi, non nei palazzi, ma tra i pagani, i peccatori, gli stranieri, torna da loro. E torna a capirsi che a tradirlo non è stato il Padre, iracondo, ma gli uomini, i potenti, i poteri, indisponibili a recepire il suo messaggio. Non c’è teologia sacrificale nel cristianesimo, non c’è dolorismo, ma l’invito esplicito a capire che o c’è la logica della violenza o quella della misericordia. Su questo punto l’etnologo René Girard ha segnato anni fa una svolta che con Bergoglio vediamo pienamente compresa: la logica della violenza è una logica che ci rende opposti identici, la violenza è mimetica. Solo la misericordia è in grado di spezzare il doppio prodotto dal desiderio mimetico. Questa storia eterna Girard la spiega magistralmente con il racconte del giudizio di Salomone, in cui le due madri, la vera e la falsa, diventano uguali, fino a quando lui non spezza quella logica con l’idea di tagliare in due il bambino. E la violenza mimetica si rompe. Quel giudizio ha creato l’assurdo linguistico del “giudizio salomonico”.

Bergoglio, nel nome della misericordia che rompe la cultura della violenza,  ha visto Gesù oggi incarnato in chi fugge da altri poteri, da altri potenti, da altri disastri. E chi non vuole vederlo è uguale a chi ieri preferì Barabba per sua scelta, non per placare l’ira di Dio.

Questa chiarezza religiosa, spirituale, e culturale, aiuta a capire perché Papa Francesco è l’uomo che può aiutare l’anticristianesimo moderno a scoprire che i suoi fondamenti sono superati, e quindi oggi  sbagliati. Non c’è sacrificalismo, dolorismo, non c’è il culto di un Dio feroce e implacabile nel cristianesimo, un Dio così incomprensibile da volere la morte del figlio per placarsi. Il Dio dell’Ira, dell’Apocalisse, è un fraintendimento voluto da chi non sa uscire dalla logica della violenza. Una storia lunghissima e capovolta, che ha portato nelle case di tutti noi tantissimi Dies Irae, dei più grandi musicisti di ogni tempo, ma nessun Dies Misericordae, è stata abbandonata. A chi vuole vedere e riconciliarsi l’opportunità di farlo.

 

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