COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Se dai Rohingya ci va… Bergoglio

Fare il conto dei leader di Paesi islamici che hanno parlato in termini molto forti del dramma dei Rohingya sarebbe lungo e laborioso. Anche i leader religiosi musulmani che si sono espressi su questi loro sventurati fratelli non sono pochi. E in tutti e due i casi si può dire che ciò sia giusto e comprensibile. Colpiti dal trattamento riservato a tanti profughi musulmani dall’Occidente tutti costoro in certo senso ci hanno anche detto: “siete diventati come i generali birmani”?

Ora accade però che il primo capo di Stato e il primo leader religioso che si rechi dai Rohingya, nelle prossime ore, si chiami Jorge Mario Bergoglio. E’ questa constatazione una critica ai leader islamici o ai leader religiosi musulmani? No, è la constatazione che il mondo ha un’autorità morale, globale, e che si chiama Jorge Mario Bergoglio. Cosa vuol dire?

Prendiamo in esame la decisione dei generali birmani di esercitare pressioni sui vescovi birmani perchè dicessero al papa di non usare la parola Rohingya durante la sua visita in Birmania. I vescovi, consapevoli di cosa avrebbe potuto significare per i loro fedeli non seguire il “consiglio” dei militari, hanno obbedito. E il papa ha accettato di non usare la parola, dicendo subito però che i diritti umani devono essere rispettati, e che questo deve valere per tutti. La foglia di fico imposta dai rudi generali ha coperto ben poco, ma non è tutto, perchè il viaggio del papa prosegue proprio in quel Bangladesh dove fuggono i Rohingya e lui lì li incontrerà.

Ora è chiaro che la scelta di Papa Francesco parla a laici, agnostici, musulmani, buddisti, ebrei, cristiani. Ma non a tutti i laici, gli agnostici, i musulmani, i buddisti, gli ebrei, i cristiani. Parla alla vasta maggioranza di loro, quelli che che non credono che l’identità sia un muro tribale, comunitario, nazionale, che ci separa in tutto e per sempre dall’altro, dagli altri.

Così facendo Papa Francesco denuda lo scontro lo civiltà e rilancia la cultura del vivere insieme. Quale civiltà, quale cultura, quale identità può ammettere quel che dimentichiamo essere fatto in Birmania, come in Libia, in Messico o altrove? Solo il muro della paura dell’altro, che ci porta ad assimilarlo al terrorismo, all’invasione, alla violenza, alla barbarie, poteva costruire la globalizzazione della paura e quindi dell’indifferenza.

Bergoglio con questo viaggio contribuisce a dare al mondo la consapevolezza che non solo serve un’etica globale nell’epoca della globalizzazione, ma anche che quell’etica ha un suo leader morale, che per i cattolici è anche il loro ( da alcuni discusso) leader religioso. E la globalizzazione poliedrica teorizzata da anni dal papa argentino, una globalizzazione cioè non solo rispettosa delle diversità culturali dei singoli e dei popoli, ma innamorata delle diversità umane, avanza anche nel lontano oriente.

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