L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Sanremo

La forza degli anniversari è irresistibile. Sappiamo benissimo che è probabilmente del tutto casuale che quanto è accaduto un numero definito di decine di anni prima corrisponda, da qualche punto di vista, a quanto accade un numero definito di decine di anni dopo. Eppure è più forte di noi immaginare che esista una qualche corrispondenza numerica in grado di mettere un minimo di ordine nei ricordi, nella storia, nella vicenda della vita.
Si cerca di sopravvivere alla pioggia di convegni, pubblicazioni e articoli che celebrano il cinquantenario del Sessantotto e febbraio porta un altro anniversario, questa volta di sessanta anni fa: era l’inverno del 1958 e, insieme a Johnny Dorelli, Domenico Modugno vinceva il Festival di Sanremo e cambiava la storia della canzone italiana con Nel blu dipinto di blu, l’indimenticabile Volare oh oh, divenuto negli anni una specie di inno conosciuto in tutto il mondo.
Si annunciavano gli anni Sessanta, il secondo dopoguerra del Novecento si era trasformato nel mitico boom economico, con il quale l’Italia abbandonava gradualmente la civiltà contadina per entrare nell’era industriale. Ci si sentiva autorizzati a sognare, a sognare di volare: Penso che un sogno così non ritorni mai più; / mi dipingevo le mani e la faccia di blu, / poi d’improvviso venivo dal vento rapito / e incominciavo a volare nel cielo infinito. Anche allora si pagarono prezzi alti, le famiglie meridionali arrivavano nelle città del nord con le famose valigie di cartone tenute dallo spago, ma forse avevano comunque voglia di sognare, mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù, / una musica dolce suonava soltanto per me. Solo due anni prima di quel Festival, Totò e Peppino erano sbarcati a Milano e in piazza Duomo, tenendosi per mano, avevano rivolto al vigile la domanda diventata un pezzo della nostra cultura: Excuse me, bitte schön … Noio … volevam … volevàn savuar … l’indiriss … ja.
I sogni, dopo sessant’anni, sono molto diversi e Sanremo ancora registra i momenti della nostra storia. Sabato scorso ha vinto una canzone che si chiude nuovamente con un riferimento al volare: Sono consapevole che tutto più non torna / La felicità volava / Come vola via una bolla. Oggi è la felicità che vola via, quando pensiamo al Cairo, alla Rambla di Barcellona, al Bataclan – dove c’è un concerto / la gente si diverte / Qualcuno canta forte / Qualcuno grida a morte – a Londra o a Nizza – dove il mare è rosso di fuochi e di vergogna / Di gente sull’asfalto e sangue nella fogna -. Difficile oggi vivere su questo corpo enorme che noi chiamiamo Terra / Ferito nei suoi organi dall’Asia all’Inghilterra, ma è importante che anche una canzone ricordi che non è venuta meno la speranza in qualcosa di diverso, che prenda ispirazione dalla famosa lettera di Antoine Leiris, la cui moglie fu uccisa nella strage del Bataclan, e che, su Facebook, scrisse parole indimenticabili rivolto ai terroristi. … non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa.
Ancora una volta Sanremo indica qualcosa che vale la pena di ricordare: Cadranno i grattaceli / E le metropolitane / I muri di contrasto alzati per il pane / Ma contro ogni terrore che ostacola il cammino / Il mondo si rialza / Col sorriso di un bambino.
Vale la pena di credere che Non mi avete fatto niente / Non avete avuto niente.

  1. Grazie Massimo, come sempre riesci ad arricchire di significato ciò che ci circonda. Per quanto mi riguarda la canzone vincitrice mi piace molto, e soprattutto mi piacciono gli interpreti, quel che invece non riesco a sopportare è che ben 11 milioni di italiani abbiano seguito Sanremo mentre è passata praticamente inosservata una mini serie televisiva su Rai 3 dal titolo La linea verticale di Mattia Torre. Forse perché in seconda serata e su Rai 3, forse perché l’argomento è salute/malattia, buona sanità o cattiva sanità. Da un mio piccolo sondaggio ho scoperto che nessuno conosce questo, che io ritengo un piccolo miracolo televisivo, nel palinsesto mediocre se non scarso. Certo il sabato sera dalle 22 in poi sembrava scelto apposta per dare meno visibilità. Bene anch’io ho avuto dei problemi, così le puntate perse me le sono viste su Rai play e, nonostante la drammaticità dell’argomento, mi sono pure divertita.
    Quando la malinconia è trattata con ironia si apprezza l’intelligenza di autori ed attori. Mi aspetto che, almeno questa vola tu mi risponda. In fondo so che anche tu qualche giretto in ospedale l’hai fatto. Con affetto, Nucci.

    • Purtroppo quei giretti cui fai riferimento mi hanno fatto iscrivere a quella maggioranza di persone – sciocche, lo so – che preferiscono non pensare a quei temi e a quei problemi. Per questo, non conosco il programma di cui parli e non prometto di vederlo, anche se mi fido del tuo giudizio.

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