L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Religione e tormentoni

L’estate radiofonica musicale è caratterizzata dai famosi tormentoni, le canzoni ripetute quasi quotidianamente che diventano un’inevitabile, e spesso inconsapevole, colonna sonora delle giornate segnate da quella sensazione di appicicaticcio che colpisce qualsiasi cosa si faccia, si legga o si ascolti. Il tormentone si appiccica, è la sua funzione.
Nell’agosto dello scorso anno ci aveva accompagnato la bellissima Dimentico tutto di Emma che poneva anche interessanti problemi filosofici su memoria e tempo. Quest’anno non mi pare di aver colto qualcosa di analogo e la colonna sonora dell’estate non mi è piaciuta in modo particolare; però ha posto ugualmente problemi importanti su metafora, religione e cultura umanistica.
In Siamo chi siamo, Ligabue avvia il discorso con il riferimento a una ragazza di Torino / che ha un occhio mezzo vuoto e un occhio pieno, che subito pone problemi ermeneutici non irrilevanti: chissà che vorrà dire? Sarà un’immagine ricca di implicazioni non immediatamente evidenti?
Si parla poi di strade e di incroci difficili da capire o, meglio, in cui non c’è niente da capire; va bene, la metafora dell’intrico di strade e incroci è abbastanza comprensibile, ma lascia perplessi la precisazione che questa presa di coscienza avvenga nel mezzo del cammin di nostra vita. Richiamo dantesco non giustificato dal discorso e basato sul semplice gusto della citazione fine a se stessa. Che ci sia una irresistibile voglia di richiamare, alludere, ammiccare, si capisce d’altra parte nel seguito, quando, per insistere sul concetto che siamo chi siamo, accanto a metafore ardite del tipo il tempo dell’ennesimo respiro o anticorpi fatti col veleno, compare anche la fantastica veterotestamentaria il prezzo di una mela per Adamo.
La cultura umanistica urge se, pochi versi dopo, si incontra una specie di descrizione di questo genere: la nebbia agli irti colli forse sale / non ci si bagna nello stesso fiume.
Ma quello che più preoccupa è che di un’altra ragazza, questa volta di Salerno, si dice che non sa che cosa sia la pace / non dorme senza un po’ di luce / ancora un altro segno della croce. Non si capisce, al di là della questione formale di ripetere la sillaba finale dei due versi precedenti, il motivo di questa apertura alla religione; si poteva risolvere la cosa in molti altri modi, e suggerirei che spesso parla e spesso tace, per aprire abissi di mistero sul valore del linguaggio.
Il richiamo alla religione preoccupa, perché compare anche in altri due tormentoni dell’estate. I Subsonica ci hanno perseguitato con Lazzaro cui rivolgono l’antico comando: alzati e cammina per scoprire di essere vivo come non mai. Segue una valanga di metafore assai impegnative come protesta ammaestrata oppure carezza svogliata, che sembra raggiungere il culmine nel resuscita un pezzo alla volta la volontà che presenta anche una sfumatura di dubbio gusto.
Preoccupa questo ripiegare su richiami religiosi perché dà l’impressione che, in quest’epoca di vecchi e nuovi fondamentalismi, l’ispirazione si rifugi su quel terreno, anche quando non pare esservi alcun motivo, come è assolutamente evidente in Le ragioni personali di Riccardo Sinigallia, misteriosa riflessione sui motivi per cui non si potrebbe tornare indietro, tra i quali appunto, con problematico riferimento liturgico, compaiono le ragioni personali / offerte per noi e per tutti / in remissione dei peccati.
Diceva Vattimo che la cultura umanistica serve anche per non farci guidare nella vita solo dalle canzonette, ma quest’estate sembra indispensabile anche semplicemente per ascoltarle.

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