L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Realismo e metadone

Finalmente il caldo sembra essersi installato irrevocabilmente nell’aria e nelle pareti domestiche. Le finestre rimangono aperte di giorno e di notte, così le parole pronunciate per strada raggiungono più facilmente le orecchie e tendono a mescolarsi direttamente con quanto stiamo facendo, leggendo o studiando.
Ieri sera leggevo un romanzo e si svolgeva davanti ai miei occhi la vicenda di un amore nascente, di sguardi e di sorrisi apparentemente casuali, ma ricchi di implicite possibilità che nelle prossime pagine probabilmente passeranno dalla potenza all’atto. Nell’ora in cui gruppi di giovani tornano nella piazzetta sotto casa a prendere la macchina parcheggiata, ha attirato la mia attenzione una lite tra due (ex?) innamorati che si rinfacciano i rispettivi comportamenti tenuti durante la serata in qualche locale sul Naviglio. Tra le frasi scritte sulla pagina e quelle che entrano dalla finestra si instaura un preoccupante dialogo che sembra rappresentare il triste destino di quell’amore emozionante che nasce davanti ai miei occhi ma che forse finirà con quelle malevoli parole che colpiscono le mie orecchie.
Al mattino invece si sentono spesso i discorsi di un gruppo di stanchi giovani che si recano in un centro pubblico, di fianco a casa, per prendere la dose prevista di metadone. Sono molto provati e basta un sorriso per renderli straordinariamente gentili e delicati. Credo dipenda dal fatto che si sentono deboli e quindi ingigantiscono ogni aspetto delle relazioni in cui si vengono a trovare, e infatti reagiscono duramente a gesti o parole scortesi.
In particolare sono sempre pronti a infiammarsi nel corso delle discussioni che nascono tra loro e che tendono a portare sul livello delle grandi questioni di principio: l’amicizia fedele, il rispetto della parola data, la verità e la menzogna. E non si tratta di discussioni di carattere politico o ideologico, di questioni che coinvolgano prestiti in denaro o investimenti finanziari, ma di piccoli screzi, dispettucci, parole cattive dette sul marciapiede di fronte a quello dove si va a prendere il metadone. Forse proprio per questo i piccoli problemi vengono tradotti in questioni astratte, per sentirsi più importanti o perché in quel gruppo di debolezze un modo di sentirsi forti è immaginarsi impegnati in confronti che si svolgono nel cielo della teoria e dei principi.
Una cosa mi colpisce ancora di più: non si sentono quasi mai frasi del genere io non tradisco gli amici, io non parlo dietro le spalle, per privilegiare invece la caratteristica forma io sono uno che …, uno di quelli che non tradiscono o non calunniano. E allora mi soccorre Borges, la cui Storia dell’eternità è aperta sul mio tavolo. Parlando dell’antica discussione tra realisti e nominalisti, tra platonici e aristotelici, lo scrittore argentino osserva che gli universali sono non solo talvolta necessari, ma anche affascinanti, in quanto la genericità può essere più intensa della concretezza. Per questo probabilmente, da bambino, quando d’estate si recava nel nord era molto interessato alla pianura che lo circondava e agli uomini che bevevano in cucina, ma la sua felicità crebbe ulteriormente quando venne a sapere che quel cerchio era pampa, e quegli uomini gauchos, cioè istanze individuali di un universale che è più coinvolgente della somma degli individui che lo compongono.
Anche sotto la finestra si ripropone l’antico dibattito; nessuno ormai crede nella esistenza reale di qualcosa che corrisponda al concetto universale di uomo, ma ci sentiamo meno deboli, meno soli, meno stanchi se riusciamo a immaginarci parte di un qualche insieme generico che ci fa essere non semplici individui che non mentono o che non tradiscono gli amici, ma uno che non mente oppure uno che non tradisce gli amici.

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