L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Presunzione

Forse non è vero che la storia sia sempre scritta dai vincitori e che gli sconfitti siano costretti al silenzio sul loro modo di vedere il mondo e il tempo che stanno vivendo. Certo Spartaco, i fratelli Bandiera, Pisacane o i contadini che nel corso dei secoli si sono ribellati in Germania, in Francia, in Italia non hanno avuto molto ascolto per quanto riguarda le loro motivazioni, la loro filosofia, i loro ideali. Eppure ce ne ricordiamo, la loro memoria – sia pure mediata dalla interpretazione dei vincitori – è sopravvissuta, se ne parla ancora e si può persino cercare di approfondirne il pensiero. Grandi sconfitti come i troiani, i fenici, gli ugonotti, gli indiani d’America, i palestinesi sono stati protagonisti della storia e spesso rispettati dai vincitori; grandi generali sconfitti, da Annibale a Robert Edward Lee e Eugen Rommel sono stati spesso onorati e persino imitati da quanti li avevano sconfitti e talvolta cancellati dalla storia.
Forse non sono il successo, la fama e la vittoria a consentire di essere ricordati e di condizionare sia la storia sia il modo di interpretarla. Qualcosa accomuna i vincitori e i vinti che si erano illusi di poter avere la meglio, forse è il sogno di essere i migliori, di essere quelli che hanno capito, che sanno, che vedono una meta, un punto di arrivo. Il sogno dei vinti svanisce subito come tutti i sogni dell’uomo che si accorge di sognare, mentre i sogni dei vincitori sembrano per un attimo realizzarsi, dare senso agli innumerevoli caduti che sono stati necessari alla loro realizzazione, quasi sempre momentanea, perché anche i sogni dei vincitori prima o poi svaniscono e anche loro si ritrovano spesso a rimpiangere la grandezza degli ideali di una volta.
L’illusione di essere i migliori – e non necessariamente si tratta sempre di una illusione – accomuna probabilmente sia vincitori sia vinti che cercano di fare e riempire delle loro interpretazioni la storia umana. A essere necessaria non è la vittoria, ma la presunzione, e si può essere presuntuosi anche da sconfitti, anzi probabilmnte gli sconfitti sono ancor più presentuosi perché sbagliano anche i calcoli e le previsioni. Senza una buona dose di presunzione non ci si può credere imperatori, condottieri, riformatori, rappresentanti della divinità, ma neppure si può essere rivoluzionari, tirannicidi, terroristi.
Eppure la storia – quella che si studia, si ricostruisce, si cerca di comprendere – ha bisogno di questi protagonisti, perché senza presunzione non si costruisce niente di nuovo né si abbatte quanto non può più essere difeso. Non si può essere un grande filosofo, un grande scrittore, un grande uomo politico senza una buona dose di presunzione, trionfante quando si vince, un po’ commovente quando si perde.
I veri sconfitti – o meglio, esclusi – sono gli altri, quelli che non pensano di essere i migliori, che non sgomitano per fare carriera, che prendono il treno pendolari per lavorare in banca e sostenere l’economia, che costruiscono i tavoli e le sedie grazie ai quali gli intellettuali discetteranno della società dell’informazione e del tramonto della produzione di oggetti. Gli scettici non hanno il coraggio di scrivere e scrivere sulla loro incertezza a proposito di quanto potrebbero scrivere, i modesti non possono vantarsi della loro modestia, Diogene il cinico non scrive pretenziosi trattati di metafisica; quanti sanno di non essere geni come possono battersi per affermare la loro mediocrità, il loro non desiderio di carriera, il loro disinteresse per i riconoscimenti e i premi? Come rivendicare con forza la propria debolezza, la propria convinzione di essere i veri eroi di una storia che con molta probabilità non va verso nessuna meta precisa e prosegue solo perché milioni di persone qualunque fanno le cose, le fanno funzionare, le tengono in piedi.
Un nuovo filosofo della storia si è recentemente affacciato alla ribalta e ha dato voce alla sua presunzione – senz’altro giustificata – attraverso una specie di manifesto che afferma non che uno spettro si aggira per l’Europa, ma che una realtà virtuale – sempre di spettro si tratta – si aggira per il mondo. Mark Zuckenberg ha pubblicato qualche mese fa, sulla sua Facebook, una sorta di Magna Charta in cui espone la sua visione del mondo e i modi in cui Facebook contribuisce e sempre più contribuirà a unire una umanità che oggi, a suo parere, deve superare le città, le nazioni e tutte le vecchie forme di relazione che gli uomini hanno costruito nel corso dei secoli, per diventare una immensa comunità globale. Le vecchie comunità erano caratterizzate da troppe forme di mediazione – politica compresa – mentre ora possiamo marciare con entusiasmo verso la comunità globale disintermediata.
Bisogna cercare di non dimenticare che i soldati che permettono ai nuovi generali di vincere e suonare il piffero della vittoria sono le centinatia o migliaia di persone comuni e non presuntuose che scrivono programmi, organizzano piattaforme, fanno funzionare i famigerati algoritmi che non sono prodotti di natura ma scelte di qualcuno che rimane nascosto, senza poter gridare il proprio nome, le proprie scelte o il proprio disprezzo per il generale. Anche questo sogno si infrangerà contro la durezza della realtà, ma perché se ne prenda coscienza occorre che i silenziosi, i modesti, i mediocri vengano sostituiti da altri più presuntuosi che sappiano opporsi ai presuntuosi: presuntuosi probabilmenti sciocchi contro presuntuosi probabilmente geniali. Che triste destino rendersi conto che la storia ha bisogno degli imbecilli, per frenare la corsa dei geni che altrimenti rischiano di andare a sbattere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *