L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Ora esatta

In molte famiglie esisteva un incaricato di osservare quell’immagine sullo schermo della televisione; in genere era chi avesse ricevuto da meno tempo il regalo giusto: il figlio che aveva fatto la prima comunione, la madre che era stata festeggiata per qualche particolare ricorrenza, il padre che era stato promosso dirigente. Chi aveva l’orologio più nuovo, e dunque più preciso, seguiva l’immagine dell’orologio offerta dalla Rai, regolava l’ora e poi diventava punto di riferimeno per tutta la famiglia; in caso di urgenza, c’era sempre quel trillo alla radio che varie volte al giorno sanciva: ore x.
Poi l’immagine televisiva si fece più precisa e a colori, mentre il trillo radiofonico continuava a ritmare le giornate.
Tutti abbiamo sognato di poter pronunciare le famose frasi che hanno fatto la storia dell’immaginario collettivo: segua quell’auto e sincronizzate gli orologi. E la seconda ci si poteva sfogare a pronunciarla soprattutto la sera dell’ultimo dell’anno, quando pareva eresia rischiare che il brindisi avvenisse qualche minuto prima della fatidica mezzanotte.
E un giorno fu l’ora legale. Era divertente ricordarsi di aggiornare tutti gli orologi della casa e uno sfuggiva sempre e faceva ridere vedere quell’ora strampalata in cucina o sulla sveglia della camera da letto, ma incombeva la teletrasmissione da Francoforte. Che meraviglia quegli orologi che di tanto in tanto muovevano autonomamente le lancette per inseguire la perfezione, tedesca naturalmente, e soprattutto quando, dovendo raggiungere una posizione precedente, progredivano per dodici ore e si fermavano qualche minuto prima. Un orologio radiocontrollato che andasse avanti era pregiato perché offriva uno spettacolo meravigliosamente tecnologico.
E vennero il quarzo, il digitale, l’informatica, la telematica; gli orologi decisero di essere precisi, di non consentire più la scusa dell’orologio indietro, ma soprattutto presero l’abitudine di regolarsi da soli, di non lasciarci nemmeno più il divertimento del giorno successivo al cambio dell’ora. Il tempo assunse una dimensione diversa, indipendente dai nostri vani sforzi di tenerci aggiornati. Orologi dappertutto – sul cellulare, sul tablet, sulla radio spenta, sulla televisione spenta, sul microonde, sull’automobile, sulla sveglia digitale, sulla piccola stazione meteo – che hanno fatto progressivamente sparire gli orologi da polso, e tutti si regolano da soli, non lasciano alcun margine di sorpresa. L’ora esatta ha perso la dimensione democratica per cui si consultavano tutti i membri della famiglia per sapere quale minuto avesse la maggioranza e probabilmente fosse il più adatto per farci correre a prendere il treno.
Ma quel trillo alla radio e la voce che dice: ore x, ha continuato a scandire le giornate. Nessuno ormai usa il mitico segnale orario per regolare qualcuno degli orologi della casa, perché ci pensano da soli, e tuttavia quel trillo fa parte della colonna sonora della giornata, dà tranquillità, garantisce che esistono regole, ricorrenze, in una sorta di circolarità del tempo che ripropone costantemente qualche appuntamento, con il giornale radio soprattutto.
Ma fu il digitale anche alla radio e il digitale arriva con qualche secondo di ritardo rispetto alla modulazione di frequenza. Se capita di avere acceso, magari in camere diverse, due apparecchi radio – uno FM e uno DAB – si ottiene un simpatico effetto fra martino campanaro in cui una voce insegue l’altra ripetendo le stesse cose, cantando la stessa canzone e, persino, annunciando la stessa ora esatta che dunque non è più esatta.
Allora è davvero la fine. Con la conclusione del 2016 il segnale orario va in pensione e alla mezzanotte del 31 dicembre risuonerà per l’ultima volta quel trillo che sembrava una delle poche cose sicure della vita.
È sicuramente banale, ma viene da pensare che anche il tempo non è più quello di una volta.

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