LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

On the Muslim Question: Rawls, Derrida e le strade d’Europa

Libri.

Il riferimento a “la questione ebraica” è, naturalmente, tutt’altro che casuale, e la tesi nell’insieme semplice e convincente: la questione islamica, oggi, in occidente e per l’occidente ha lo stesso significato di quello ricoperto dalla questione ebraica tra Illuminismo e Auschwitz, ossia un test di cruciale importanza per le istituzioni e le categorie di pensiero occidentali relativamente alla capacità di pensare l’“altro” e la sua integrazione senza assimilazione entro un orizzonte di eguali libertà, che non implichi la cancellazione delle differenze culturali e  religiose. La “questione islamica” oggi non parla di Islam, ma di “noi” europei e occidentali, così come ieri la “questione ebraica” chiamava in causa le auto-rappresentazioni dell’Europa illuminista. Benché tenda a sfumare forse troppo alcune differenze nella rappresentazione che l’Europa e l’Occidente hanno oggi dell’Islam rispetto a quelle che avevano ieri dell’ebreo – di cui era la somiglianza oltre che l’alterità a turbare, laddove l’alterizzazione del musulmano oggi è a tratti più univoca –, la tesi di Anne Norton va – con la veemenza e lo stile sferzante del pamphlet – alla radice dei nostri pregiudizi e delle nostre paure. On the Muslim Question (Princeton University Press 2013) torna sulle note vicende degli ultimi decenni: dalla fatwa contro Salman Rushdie all’omicidio di Theo van Gogh e alla questione delle vignette ‘satiriche’ sul Profeta, ogni volta mostrando come dietro la ostentata difesa da parte del mondo occidentale della libertà di espressione – spesso semplice licenza di insulto – si nascondano i fantasmi di un passato rurale e religioso tutto europeo che l’Islam sembra riportare nel cuore di società secolarizzate, un passato evidentemente rimosso che oggi l’Islam ci metterebbe davanti come uno specchio.

A soffrire di questa scossa alla propria autorappresentazione moderna e secolare che le masse di immigrati islamici ha comportato, sarebbe per la Norton in primo luogo chi per mestiere porta a concetto le immagini che una società ha di se stessa, ossia la cultura e l’intelligentsia. Lo scontro tra civiltà, sostiene l’autrice, è per lo più qualcosa di inventato dai media e dalla cultura, senza sostanziali distinzioni in questo tra cultura di destra e cultura di sinistra. Paul Berman, John Rawls e Jaques Derrida, nonostante le differenze dall’interno rilevanti e più o meno sottili, vengono fatti bersaglio di capitoli critici in cui e il grottesco semplicismo delle rappresentazioni dell’islam e l’arroganza dell’autorappresentazione delle democrazie liberali occidentali presenti nelle loro opere sono impietosamente denunciati. È proprio a questo livello, intellettuale e di cultura “alta”, “illuminata” e democratica, che il colpo che il ritorno del rimosso che l’islam porta con sé si fa sentire con più forza e provoca le reazioni più forti  e scomposte. Altrove, in strada, le cose stanno diversamente, e nonostante le tensioni, i conflitti episodici, le difficoltà quotidiane, non si dà nessuno scontro tra civiltà.

I capitoli forse più interessanti del libro della Norton sono proprio quelli che compongono la seconda parte del volumetto. Da critica accademica – militante e radicale – la Norton si fa qui etnologa, che scava nelle forme della convivenza quotidiana tra islam e occidente, in Europa e negli Stati Uniti. Dall’Andalusia – terra non di un passato mitizzato in cui islam, ebraismo e cristianesimo convivevano pacificamente, ma di un presente in cui l’islam è scritto con la pietra negli orizzonti e nei riferimenti culturali e spaziali dei cittadini di Cordoba, Granada e Siviglia; un presente in cui la Mezquita di Cordoba chiama Santa Sofia di Istanbul (e viceversa) –  ai mille negozi di Kebab e cibo halal che costellano le nostra strade, dai fruttivendoli che salmodiano il Corano fino alla letteratura e a graphic novel di successo, esiste un’Europa e un occidente in cui la differenza si fa pratica quotidiana di convivenza, non priva di tensioni ma neanche priva di sperimentazioni e felici ibridazioni.

La tesi, dunque, è chiara: lo scontro di civiltà è un’invenzione della cultura alta (oltre che dei media e della politica), laddove si elaborano le immagini di sé come collettività che rivendicano poi una forza egemonica, e che nell’islam vedono oggi il ritorno del rimosso. La contrapposizione fra cultura alta e pratiche di strada è forse semplicistica, così come la secca equivalenza tra questione ebraica ieri e questione islamica oggi; e tuttavia, è proprio il radicalismo e la riottosità alle eccessive sottigliezze accademiche che fa del pamphlet della Norton un contributo più stimolante di decine di libri che nel discorso accademico rimangono intrappolati e autoreferenzialmente chiusi, un contributo che – da dentro l’accademica –  invita a spostare i termini della discussione – da “loro”, l’Islam, a noi e ai nostri conti con il nostro passato di modernizzazione, di colonizzatori, di inventori di genocidi, oggi di difensori dei diritti universali e custodi di Abu Ghraib e Guantánamo –, e invita a guardare alle pratiche che innervano il sociale per farsi illuminare nella ricerca di forme e concetti della convivenza tra diversi. Nella misura in cui si tratta di un radicalismo e rovesciamento di piani che non sconfinano nell’anti-intelletualismo, benvenuti radicalismo e rovesciamento.

  1. Ecco, vaglielo a spiegare ai tanti buoni e onesti (quelli sì) musulmani che da anni muoiono come mosche per mano dei clericofascisti che ti affanni tanto a difendere. Quando lo fai, fammi un fischio, che mi siedo comodo con un bel sacchetto di popcorn a godermi lo spettacolo.

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