CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Nuovi e vecchi realismi e la pensabilità della Shoah. Dialogo a distanza con Maurizio Ferraris

Ieri pomeriggio, alla Sapienza di Roma, si è svolto un davvero molto interessante incontro di Maurizio Ferraris con gli studenti di filosofia: veramente tanti, attenti, appassionati. Si discuteva della prospettiva detta del Nuovo Realismo ed io avevo il ruolo di ospite esterno e voce altra rispetto a quella di Ferraris. Ad ospitarci era Donatella Di Cesare, ordinaria di Filosofia Teoretica e benemerita studiosa di tematiche concernenti, fra l’altro, l’ermeneutica, il linguaggio e l’ebraismo. Nel mio intervento, seguito a quello magistrale di Ferraris, ho detto più o meno che, se da una parte condivido la “pars destruens” del suo pensiero, che è di critica al “postmodernismo” e all’antirealismo in generale, dall’altra declino in modo diverso il mio realismo. Nella realtà io non vedo, in effetti, oggetti irrelati, ma una rete di rapporti dialettici. I facta, detto altrimenti, sono per me tenuti insieme dalla legalità della storia, non da quella della natura. E la verità esiste certo, ma è da intendersi come l’intero di hegeliana memoria. Ferraris, nella replica finale, portando legittimamente il discorso dal livello teorico a quello pratico (io stesso avevo detto fra l’altro che le idee non sono mai innocenti), ha affermato che il rischio della mia concezione della realtà e della verità è di legittimare tutto. Alla fine, se tutto è in una rete di rapporti, anche la Shoah avrebbe un senso nell’economia generale della realtà. Non ho avuto ovviamente modo di controreplicare a questa ormai classica accusa di giustificazionismo che viene rivolta allo storicismo. Lo faccio brevemente in questa sede, riservandomi di fare poi altrove un discorso più compiuto. Io credo che anche la Shoah, anche Auschwitz, siano dentro e non fuori della storia, si speghino col prima e si leghino al poi. Pensare Auschwiz come il nulla assoluto, la Shoà come un unicum indicibile, da un punto di vista morale è plausibile, ma non da un punto di vista storico e teorico. Sono fenomeni che, se non vengono studiati storicamente, non sono compresi. E il non comprenderli può essere davvero pericoloso. Certo, non si ripresenteranno più tali e quali, ma in qualche modo potrebbero pure riapparire. E se non li si è capiti, se non si è afferrata cioè la loro genesi (“la natura delle cose –dice Vico- è nel loro nascimento”), il rischio vero è che, nel loro riapparire, ci prendano alla sprovvista, senza gli strumenti atti a prevenirli e combatterli. Ora, il 19 e il 20 novembre, come ha ricordato in conclusione dell’incontro romano Donatella Di Cesare, la discussione sul Nuovo realismo continuerà all’Accademia dei Lincei. Mi auguro che in quell’occasione io possa meglio argomentare questo punto solo apparentemente secondario del discorso.

  1. “Anche la Shoah avrebbe un senso nell’economia generale della realtà”. Oso dire che solo nell’economia generale della realtà la Shoah può essere spiegata. Il Gulag viene prima di Auschwitz, e il sistema concentrazionario nazista prese esplicitamente a modello quello comunista.

    Del resto, il Novecento fu per antonomasia “l’età delle migrazioni forzate”, come recita il titolo di un libro recente. E quasi tutte le migrazioni forzate furono, negli esiti, genocidi, indipendemente dalle motivazioni, dallo spirito e dai mezzi con cui furono compiute.

    (Per inciso, il vergognoso silenzio, che in parte dura ancora oggi, intorno ai crimini del comunismo testimonia che la mistificazione, l’occultamento, la menzogna, la “scomparsa dei fatti” non sono una prerogativa esclusiva della cultura di destra e del “populismo mediatico”, dato che anche la propaganda di sinistra non ne andò, e in parte ancor oggi non ne va, immune).

    Peraltro, riguardo alla Shoah, come ricorda il marxista Hobsbawm, “nessun serio storico negherebbe che ci sono lacune o incertezze – circa fatti, numeri, luoghi, motivi, procedure e molto altro ancora – che circondano la storia del genocidio. Lo studioso serio del soggetto, dunque, tratta il genocidio come un campo di studio in cui disaccordo e discussione, anche circa i più indicibili aspetti – per esempio il numero delle vittime, o la natura e l’estensione dell’uso del gas Zyklon B – sono naturali e indispensabili. Non può ridurre la sua funzione essenzialmente alla denuncia, o alla definizione e alla difesa di una versione accettata della verità”.

    Sarebbe interessante vedere come il Nuovo Realismo, che vuole essere tanto illuministico ed antidogmatico, si pone di fronte a questi oggettivi problemi interpretativi.

    Ferraris ha contestato il principio secondo cui non esisterebbero fatti ma solo interpretazioni. E’ legittimo obiettare che i fatti esistono. Ma senza dimenticare che devono essere interpretati. I problemi interpretativi che circondano ed accompagnano i fatti non sono, a loro volta, meno oggettivi, ineludibili, “inemendabili” dei fatti stessi. Sono, anzi, ad essi strettamente collegati.

    All’aumentare del grado di complessità di un dato fenomeno, aumenta anche il grado di molteplcità e di complessità delle possibili interpretazioni che esso autorizza, e anzi sollecita.

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