COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Le Ong, noi, e quella domanda: “dov’è tuo fratello?”

Che cosa succede in Italia? Sentirsi dire, al telefono, che la risposte più semplice è questa, “si sta criminalizzando il lavoro umanitario” fa impressione. Tutto sembrerebbe essere cominciato ad aprile, con le dichiarazioni rilasciate ad Agorà su Rai3 dal procuratore di Catania Zuccaro; “potrebbero esserci Ong finanziate dai trafficanti di migranti” e per la sua inchiesta sul tema a Catania. Si arrivò così a una rapidissima attività parlamentare al termine della quale, già a maggio, non emersero finanziamenti degli scafisti a ong, ma si stabilì che “la presenza delle ong ha posto le basi per l’istituzione di un corridoio umanitario da parte di queste organizzazioni che però non ha le caratteristiche per essere definito tale.”  Lo votò su proposta del senatore (pd) Nicola Latorre la competente commissione parlamentare, alla presentazione della relazione conclusiva approvata dalla Commissione Difesa al Senato sui flussi migratori nel Mediterraneo e sulle attività delle ong.

I corridoi umanitari, si stabilì, hanno senso se sono in rapporto col territorio da cui si preleva la persona per proteggerla e metterla in salvo, “in questo caso questi presupposti non ci sono e non può essere affidata a spontanea attività autonoma una situazione di questo tipo”. Secondo le indicazioni della commissione, la guardia costiera deve assumere un coordinamento non solo a posteriori, nella fase di salvataggio, ma più a monte.

Dunque: si dovrebbe mettere un asilante afghano a richiedere asilo in territori controllati dai Talibani e quindi scongiurare il rischio di corridoi umanitari, cioè di quella che oggi è a tutti gli effetti la sola opzione per creare una via legale di accesso ai paesi dove si intende chiedere asilo.

Come farà un siriano perseguitato dal regime di Assad, ce ne sono milioni in Siria, a chiedere asilo dalla Siria? Fuggirà clandestino perdendo il diritto a chiederlo? O non è meglio, come fa Sant’Egidio, accoglierlo dal Libano? Lì un corridoio umanitario si è potuto stabilire, ma solo con i visti umanitari a disposizione dei singoli governi. E qui entra in ballo l’Europa. Non ha nulla da dire l’Europa sul fatto che il diritto all’asilo politico non può essere rivendicato legalmente dal 99% di coloro che intendono chiederlo? Potrà forse chiedere asilo politico in Germania un nigeriano perseguitato da Boko Haram recandosi invece che nella boscaglia in ambasciata?

Questo iter del nostro confronto è curioso, soprattutto se si considera che mentre le procure hanno negato finanziamenti degli scafisti alle Ong, la Guardia di Finanza non ha negato, anzi ha ritenuto probabile, che il petrolio dell’Isis sia arrivato nelle nostre raffinerie.

Eppure si è arrivati a tutt’altro, cioè, proprio come previsto  dal documento La Torre, all’accordo tra il nostro Paese e la Guardia Costiera libica. Per combattere, ovviamente, non i profughi, ma gli scafisti. Ecco l’interessante testimonianza sul nostro nuovo amico di Rabih Bouallegue, che ha lavorato nel Mediterraneo con l’Ong dello scandalo: “In quanto ex membro di una Ong tedesca, cacciato da quest’ultima con l’ accusa di essere un fascista, vorrei sfatare la mitologia delle Ong in combutta con scafisti libici. In nome della trasparenza e dell’onestà intellettuale. Ricordo il mio primo giorno di imbarco. Quando ebbi l’ incontro di rito con l’interprete della missione precedente. Una ragazza olandese di nome Leila. Allora non ero sospettato di essere un fascista o una spia dei servizi segreti. Quindi non c’era alcun interesse da parte di tutti i membri della Ong in questione di nascondermi la verità.

Leila doveva spiegarmi la natura del mio ruolo a bordo. Come approcciarsi ai migranti. Come comportarsi di fronte a una motovedetta della guardia costiera libica. Ma durante la nostra conversazione Leila, anche lei una veterana di queste missioni, mi raccontò, quasi incosapevolmente, di piccoli barchini che spesso si avvicinavano alla nave per informare l’equipaggio della presenza di una nave di migranti in difficoltà. Si presentavano come pescatori seppur a bordo non avevano reti o canne da pesca. L’anomalia mi fu confermata anche da altri membri della Ong, che mi raccontavano dell’incontro con questi barchini che si allontavano dalla nave per assistere da lontano alle operazioni di salvataggio. Se l’equipaggio dei barchini non è armato, si decide di dar fuoco al gommone per evitare che venga recuperato da qualcuno.

Ma se l’Unione Europa e la Libia di Sarraj sono realmente intenzionati a combattere il traffico di esseri umani, perché quei barchini sospetti non vengono fermati da quella guardia costiera addestrata dalle Marine militari di mezza Europa ? Io ho una risposta, dettata più che altro dalle esperienze che ho avuto negli ultimi mesi. Per esempio ho avuto conferme sia da membri della guardia costiera libica, durante l’addestramento a bordo di Nave Rotterdam, che da migranti arabofoni, che pezzi grossi della guardia costiera libica alleata dell’Italia hanno le mani immerse nell’impasto. Sempre secondo le dichiarazioni di quei migranti che sono passati da Palermo, nella Libia occidentale tutti sanno che dietro il più organizzato e costoso traffico di esseri umani c’è una mente che opera all’interno del corpo della guardia costiera libica.

Che quegli uomini che scortano i gommoni sino al limite delle acque territoriali libiche e avvisano le navi delle Ong sono quasi sempre membri di quella guardia costiera in abiti civili che si spacciano per pescatori. La conferma di questo comportamento anomalo l’avevo trovata nelle dichiarazioni di quei militari libici che conobbi durante la mia esperienza dentro Eunavformed. In questa Libia gravemente divisa, i militari della parte occidentale non vengono regolarmente pagati, aumentando il rischio di corruzione. Il più delle volte sono costretti a fare due / tre lavori per poter mandare avanti la famiglia.

La soluzione quindi non è criminalizzare chi cerca di tappare le falle provocate dalla cecità delle politiche europee in terra africana. Ma di agire alla base del problema. Porre fine alla guerra civile libica e creare le condizioni per la creazione di un governo di unità nazionale e costringerlo attraverso gli strumenti del diritto internazionale, alla firma della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e al rispetto dei diritti umani e alla costruzione di un sistema di Asilo monitorato dalle varie organizzazioni internazionali.

Con la piega che stanno prendendo gli eventi e l’assurda criminalizzazione delle Ong si rischia solo di aumentare le tragedie in mare e di destabilizzare ulteriomente il mar mediterraneo.”

Le idee si cominciano a chiarire. E forse il chiarimento più pacato ma anche inquietante ce lo ha dato il il Centro Astalli, la sezione italiana del Servizio dei Gesuiti ai Rifugiati. “Le politiche di accordi con la Libia mettono “in condizione di pericolo e morte migliaia di persone”: il Centro Astalli esprime oggi “seria preoccupazione” per la situazione dei migranti nel Mediterraneo e punta il dito contro la “sostanziale indifferenza da parte degli Stati membri e dell’Unione europea”. Il Centro Astalli chiede che il salvataggio in mare sia “garantito, organizzato e potenziato”: “Il ruolo delle ong deve essere supportato e ampliato con un impegno nazionale e sovranazionale più consistente. Neanche un morto nel Mediterraneo sia la priorità di tutte le istituzioni coinvolte”. Invita a “non fare accordi che impediscono ai migranti di lasciare una Libia altamente instabile, insicura e in cui le garanzie di rispetto dei diritti umani sono largamente insufficienti. Ancor meno si possono respingere o deportare in Libia migranti intercettati in mare, in violazione delle basilari norme sulla protezione internazionale”. “Non è tentando di rimuovere la migrazione dal Mediterraneo che si risolve l’emergenza in cui si trovano milioni di persone costrette a lasciare la loro terra a causa di guerre, persecuzioni ma anche di povertà estrema e disastri ambientali – afferma -. È inaccettabile che le politiche recenti siano volte a spostare altrove i migranti anziché lavorare sulle cause all’origine di una mobilità umana senza precedenti nel mondo ma che tocca l’Europa solo in piccola parte”.

Il Centro Astalli chiede nuovamente a istituzioni nazionali ed europee “vie legali di accesso per quanti si trovano nella condizione di dover chiedere protezione internazionale in Europa”; “quote di ingresso di lavoratori stranieri in Italia per infliggere un duro colpo al traffico, allo sfruttamento, alla tratta di esseri umani”; “rispettare la Convenzione universale sui diritti dell’uomo e la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e di non stipulare accordi con chi non rispetta e non ha recepito nel proprio ordinamento tali norme”. “Da settimane – osserva padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli – la cosiddetta emergenza migranti viene affrontata come una guerra da ingaggiare contro un nemico da sconfiggere. La classe politica di questo Paese lavori per la pace, ritrovi il senso del proprio agire nella storia della democrazia e nella cultura del diritto su cui si fonda la nostra civiltà”.

Beh non c’è di che stare allegri se un uomo naturalmente portato alla mitezza, come padre Camillo Ripamonti, invita la nostra classe politica a tornare a democrazia e diritto. Chi finisce sotto i riflettori è invece un’organizzazione come Medici Senza Frontiere, che se accettasse armati a bordo delle sue navi, come chiesto dal ministro Minniti, perderebbe la credibilità acquisita nel mondo da anni grazie alla scelta di non consentire in alcun caso l’ingresso di armi nelle sue strutture.

Dunque la vera domanda sembra questa: cosa sta succedendo non tanto nel mar Mediterraneo, quello lo abbiamo capito, ma qui sulla terra ferma da noi, IN NOI?

Abbiamo dimenticato, forse, le parole che papa Francesco disse verso la fne dalla sua omelia a Lampedusa, prima visita apostolica del suo pontificato: «Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?”

Io credo ci interpellino ancora, tutti.

Molto ci potrebbe interpellare anche della cultura laica e socialista. Ma questa oggi appare una cultura abbandonata, anzi, tradita.

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