COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

L’alleanze delle minoranze spiana la via al ritorno dell’Isis

Nessuno può dire che la guerra dei trent’anni mediorientale volga verso la sua fine, né che si riuscirà a trovare una Vestfalia capace di plasmare, o dare nuova vita, ai falliti stati della regione. Quando l’Isis ha abbattuto le Line tracciate nel deserto dalle grandi potenze coloniali, molti hanno pensato che la vita di quegli stati finissero lì. Poi quattro grandi battaglie hanno posto fine alla follia ISIS: quella di Mosul, dove le milizie sciite sostenute dall’esercito nazionale e dai Pasdaran iraniani hanno avuto ragione del grosso degli uomini di al-Baghdadi, quella di Arsal, in Libano, dove è stato Hezbollah ad avere ragione dei terroristi del califfato, rispediti in autobus chissà dove, quella di Raqqa, dove gli autobus sono stati messi a disposizione dei terroristi dalla coalizione guidata dagli statunitensi, e infine di Deir ez-Zoor, dove la fuga è stata analagamente organizzata da diversi attori. L’ovvia domanda, “dove sono andati a finire i combattenti dell’ISIS?” non è stata posta da molti, ma resta cruciale anche ora che l’operazione “ramoscello d’ulivo” scatenata dalla Turchia di Erdogan “terroristicizza” anche i combattenti curdi, che si speravano immuni da questo destino, dopo essere stati a lungo i paria della Siria, dell’Iraq e così via. Intanto il regime di Damasco prosegue con spietatezza la sua “marcia trionfale” , espugnando giorno dopo giorno sobborghi, città, villaggi rimasti per anni sotto il suo assedio, come la Ghouta, o Duma, e presto sarà la volta di Idlib.
Siamo davanti ad una nuova e più estesa fase del “tutti contro tutti”che ha reso la Siria il vero ring mediorientale, dove eserciti di tutte le grandi potenze e coalizioni si confrontano con macabro disprezzo per la popolazione civile, si esercitano utilizzando armi non convenzionali, anche chimiche, pongono termine ad assedi medievali capaci di far impallidire il ricordo di quello di Sarajevo, si abbandonano a saccheggi, stupri di massa, razzia. In Siria in particolare modo i criteri della “conquista” condanno le vittime a fughe infami, con milioni di cittadini espulsi dalle loro terre e che vagano come fantasmi lungo i vecchi confini. Nessuna legge, nessun rispetto per loro: solo milizie feroci, giovani rapiti mentre tentano di raggiungere un’università, una scuola, un ospedale, un forno aperto: è l’ordine dei fantasmi, gli shabihha che Assad ha scatenato contro il suo popolo, affinché fugga senza avere alcuna Terra Promessa nel vasto territorio circostante. La vendetta clanica, tribale, etnica, confessionale sta raggiungendo il suo picco sotto gli occhi silenti di un mondo disinteressato, indifferente.
Lo testimonia la drammatica vicenda dei figli dell’ISIS. Sarebbero almeno tremila e per loro si sono mossi in tanti, terrorizzati che il loro destino possa vederli tornare in patria, sgraditi ospiti. In Francia ne sono tre, e per loro si sono spenti le luci dell’aeroporto parigino, impaurito dai loro miseri volti. La fine dell’Isis appare propria avvolta nel buio, o per meglio dire in tante misteriose oscurità. Questa oscurità diventa ancor più inquietante se si ha il coraggio di guardare in faccia il destino di Bilal Tagirov; un bambino di quattro anni. Ceceno, è diventato famoso per essere stato ripreso dai media locali mentre indicava la bandiera irachena tornata a sventolare su Mosul definendola la bandiera degli infedeli. Ora, grazie all’impegno del presidente della Cecenia, Kadyrov, il fedelissimo di Putin che dovrebbe diventare secondo i piani attribuiti al Cremlino il leader musulmano di tutti i musulmani dello spazio ex-sovietico, il piccolo Bilal è tornato in patria. Kadyrov si è speso per lui e per il suo ritorno in patria con tutte le sue forze e in prima persona.
Kadyrov è più umanitario di Macron? No, lui, ne 2015, cioè quando la Russia interveniva ufficialmente in Siria contro l’Isis, si disse pronto a inviare ceceni nei luoghi del combattimento. E Bilal Tagirov è ceceno a tutti gli effetti, nato in Cecenia e portato in Iraq dal folle genitore, Khasan Tagirov, proprio due anni fa, in quel 2015 in cui la Russia intervenne in Siria e Kadyrov diede la sua disponibilità a fare altrettanto, se Putin avesse voluto. L’azione umanitaria di Kadyrov non riguarderebbe solo i bimbi, ma secondo alcune fonti anche le vedove o le sventurate consorti dei terroristi di origine cecena finite in Siria e Iraq. L’impegno umanitario di Kadyrov ha visto il Cremlino al suo fianco. Un esempio: nell’ottobre del 2017 un velivolo russo, capace di trasportare cento persone, sarebbe stato inviato a Qamishli, liberata dell’Isis dai curdi, per portare in salvo sette donne e quattordici bambini appena liberati da un centro di detenzione allestito dai vincitori grazie ad un’azione militare russa. Nessun sin qui ha smentito che prima di questa operazione di salvataggio, il 17 ottobre, come riferito dal sito curdo Rudaw, l’inviato russo in Medio Oriente, Mikhail Bogdanov, si sia recato di persona a Qamishli per colloqui con le autorità curde.
L’azione umanitaria di Kadyrov e il sostegno ad essa garantito dal Cremlino – includa o non includa le madri dei figli dell’Isis- conforta molti e li induce a ben sperare. Altri però, compreso l’autorevole Foreign Policy, temono che possa esserci un’altra lettura, altrettanto plausibile. Il loro ragionamento prende le mosse da una considerazione: pochi governi, e i governi sono tanti, hanno dimostrato tanta ansia a riprendersi elementi intrisi di radicalismo islamico, e forse è anche per questo che la polemica sul salvataggio garantito o no anche alle madri ha tanto rilievo. Liberarsi di costoro va bene a molti, andarseli a riprendere un po’ meno. Così fonti curde ricordano che l’Isis pubblicò uno dei suoi repellenti filmati di propaganda, in cui giustiziava Magomed Khasiev, un uomo che confessava di lavorare per il servizi segreti russi. Ha scritto Marcin Mamon su Foreign Policy: “Molti in Siria e Iraq dubitano dell’improvviso interesse di Kadyrov per salvare i ceceni. Gli appare più probabile, dicono, che voglia salvare le spie che hanno lavorato per lui.” Duro, certo, ma come non prendere in considerazione almeno il sospetto? Tutto sommato Kadyrov offrì di addestrare le truppe di Assad in Cecenia.
La Vestfalia che molti sognano per il Medio Oriente, o quanto meno sperano che arrivi presto, sembra ancora lontana, gli stati falliti restano tali e la vera minaccia per il futuro si chiama “Alleanze delle minoranze”: è il sogno dei Pasdaran e dei loro alleati, imporre una sorta di “cuius regio eius religio” che condanni i sunniti al ruolo di paria regionali; quella sì sarebbe la garanzia di un ritorno disperato, folle e devastante delle orde dell’Isis. Purtroppo a giudicare dalle scelte del presidente (maronita) in Libano e dal silenzio dei vertici del cristianesimo siriano sulle prove ormai schiaccianti sull’uso di armi chimiche da parte di Assad dalla Ghouta a Khan Shaykhoun ad Aleppo sembra che i cristiani abbiano scelto di accettare questa alleanza con Pasdaran, Hezbollah e Assad. Un regalo di cui l’Isis non aveva bisogno. Che ricorda quanto fecero alcune milizie cristiane ai tempi dell’occupazione del sud del Libano, e che si tradusse in una catastrofe, per i cristiani, ovviamente. La storia a certuni non insegna nulla.

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