LA GUERRA DEI TRENT'ANNI

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La voce dei riformisti e i rischi del populismo

Si è svolta sabato 12 gennaio, nella bella sede medievale di Palazzo del Popolo a Orvieto, la quattordicesima assemblea annuale di Libertà Eguale, associazione plurale facente capo all’area liberal del PD. A condurre i lavori, assieme al direttore Antonio Funiciello e al Presidente Enrico Morando, Claudia Mancina e il neoescluso Stefano Ceccanti. Ospite d’onore il Presidente del Consiglio Mario Monti. Titolo dell’incontro: Riformismo vs Populismo.

Già dalla relazione introduttiva di Funiciello lo spirito dell’iniziativa appare chiaro: si tratta, in sostanza, di abbandonare «l’antagonismo di sistema e la esemplificazione del contrasto, a sinistra, tra riformisti e conservatori (questi ultimi, quindi,  detentori di una mera caratterizzazione politica negativa, rispetto al nostro termine positivo del Riformismo)». Alla base di tale assunto, la consapevolezza che riformismo e conservatorismo non si costituiscono come valori in sé, assoluti, ma devono sempre essere calati nella realtà storica e contingente. Per dirlo con le parole di Ugo La Malfa – che, già nel 1977 anno di pubblicazione della sua Intervista sul non governo, e, al tempo stesso, anno di profonda crisi politica ed economica che, pertanto, appare vicino alla situazione attuale, scorgeva in Italia un’ascesa e, dunque, uno stringente pericolo, rappresentato da forze populiste – si tratta di abbandonare la tendenza comune, se non a tutti a molti partiti, a usare «un linguaggio ideologico alternativo alla realtà» per cominciare a «spiegare alla gente» il senso della politica e delle riforme.

L’intervento di Mario Monti si concentra, oltre che sul già battuto superamento dell’opposizione destra-sinistra a favore di un’unione di intenti transpartitica dei riformisti, sulla necessità di superamento dei populismi, presenti al sud come al nord dell’Europa. La sua ricetta assume, quindi, respiro sovranazionale e individua la cura per la crisi economico-politica attuale in un rafforzamento del Parlamento Europeo, in parte vulnerato anche dall’assenza di un sistema elettorale unico in tutta l’Unione e nell’abbandono dell’atteggiamento ideologico – sia in senso positivo che in senso negativo – nei confronti del “mercato”, interpretato alternativamente come soluzione o fonte di tutti i mali.

È probabile che Mario Monti abbia commesso un errore impegnandosi in prima persona nell’agone politico. E l’errore non riguarda solo le sue possibilità – francamente piuttosto scarse – di poter ottenere una maggioranza sufficiente a permettergli la costituzione di un nuovo esecutivo e il suo personale futuro politico e istituzionale, ma rischia di estendersi a tutta l’area riformista, ledendo le possibilità di aprire una stagione di riforme nel Paese.

Stupisce, poi, che uscito da primarie che, per quanto l’abbiano visto vincitore, hanno visto il suo sfidante principale accreditato di un significativo 40%, il segretario e candidato premier PierLuigi Bersani, non solo declini l’invito alla manifestazione di Orvieto, ma rinunci a dotare le sue liste di competenze preclare di cui quella di Stefano Ceccanti è solo l’esempio più noto. Si tratta di politici che per capacità – e non solo per banale dato anagrafico – sarebbero stati in grado di avere uno sguardo a lungo termine che avrebbe fatto senz’altro bene alla politica nazionale.

Se continuerà ad inseguire Nichi Vendola – sia egli conservatore o meno – che, forte del 5% di cui è accreditato apre ad alleanze politiche postelettorali con un centro dato al 15% e tenta, spesso riuscendoci, di condizionare la linea del più forte Partito Democratico, Bersani rischia non solo di perdere delle elezioni che sembrano già vinte – ma anche quelle del 2006 sembrava dovessero avere un risultato plebiscitario – o, quantomeno, di non ottenere una maggioranza tale da permettergli di governare, riproducendo, ancora una volta, una situazione analoga a quella del Governo Prodi del 2006. No. Il rischio più grande che il Segretario corre continuando a inseguire Vendola su un terreno che, a parere di chi scrive, intreccia elementi conservatori con un marcato atteggiamento populistico e demagogico, è quello di maturare un distacco difficilmente recuperabile tra il PD e quella base di non tesserati – il così detto voto di opinione – che fino a oggi l’avevano votato riconoscendolo come quella forza di centrosinistra in grado di portare avanti quelle riforme strutturali essenziali al sistema paese – e, in parte, iniziatesi con le liberalizzazioni progettate, ma non concluse, dall’allora ministro Bersani.

In quelle Noterelle su Machiavelli che costituiscono forse il nucleo di maggior realismo politico dei Quaderni dal carcere, Antonio Gramsci avvertiva che a un certo punto della loro storia i partiti si staccano dalla loro base, dimostrandosi incapaci di interpretarne le necessità e che, «quando queste crisi si verificano, la situazione immediata diventa delicata e pericolosa, perché il campo è aperto alle soluzioni di forza, all’attività di potenze oscure rappresentate dagli uomini provvidenziali e carismatici». Non credo che il pericolo odierno sia rappresentato da uomini del destino, né credo che per il PD sia giunta l’ora della resa dei conti con la base elettorale di centrosinistra, senz’altro, però, assistiamo all’ascesa di forze demagogiche di destra e di sinistra che rappresentano un rischio per il futuro del Paese.

Per porre un argine a questi e altri pericoli ritengo utile, per il segretario Bersani, ascoltare la voce dei riformisti contro i rischi del populismo.

Andrea Pinazzi

Tweet: @AndreaPinazzi1

  1. Analisi macchiavellica a favore di una parte degli schieramenti.Niente male, ne leggiamo moltissime. Tuttavia quando si dimostra passione per favorire una condivisione, non possiamo passare per persone capaci di essere professionalmente autonome, come molti sembrano voler dimostrare di essere. Proviamo ad invertire le questioni:un populista può essere riformista? Io credo di si, nel senso che il populista che desidera tutto e subito, può benissimo desiderarlo con riforme capaci di ottenerne i benefici desiderati. Ma la questione che stimola una valutazione dell’articolo non risiede nemmeno nelle considerazioni appena date, ma dal fatto di avvertirne l’asfissiante vocazione di esclusione politica di coloro che vengono denominati populisti,con i relativi nomi e cognomi e atti politici,solo perchè paventano opzioni politiche non gradite.Parliamo a sinistra.Bersani non deve ascoltare Vendola si conclude, individuando in quella parte di schieramento il dannoso populismo. Eppure Vendola è considerato un ottimo amministratore della sua Regione, eppure è per sostenere la povertà dilagante, eppure è per cercare di risolvere le questioni legate al lavoro e alla occupazione giovanile e solo perchè lo doce e ne sostiene i confronti aperti con tutti, è considerato un populista,Monti che fa tutt’altro pur sostenendo i propri sbagli, è riformista.Visto che è difficile parlare con convinzioni con coloro che convinti sono già, è meglio tagliare corto. Tenetevi Monti, ci terremo Vendola.I riformismi non sono tutti euguali. Un giorno riusciremo a riguadagnare quello di sinistra, statene certi.

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