IL SOTTOSCRITTO

Gianni Bonina

Giornalista e scrittore. Vive a Modica. Ha pubblicato saggi di critica letteraria, romanzi, inchieste giornalistiche e reportage. È anche autore teatrale. Ha un blog all'indirizzo giannibonina.blogspot.com

La giostra dei candidati e la commedia siciliana

L’attuale governatore della Sicilia Rosario Crocetta è senz’altro il peggiore della Seconda repubblica: stabilito dallo stesso partito che lo ha eletto e cioè il Pd,.che sta cercando in tutti i modi di metterlo fuori gioco non ricandidandolo: a dispetto pure dello statuto che obbliga alla ricandidatura e, in caso contrario, alle primarie. Pur essendo presenti nel governo regionale assessori che hanno condiviso con Crocetta i disastri di cinque anni, a parere di tutti fallimentari, il Pd nega fino ad oggi le primarie per la semplice ragione che teme un successo dell’imbarazzante iscritto, il quale sta racimolando consensi all’interno del partito grazie proprio alla vergogna che Renzi in persona prova per lui. Una non indifferente area di dissenso si sta raccogliendo infatti attorno non tanto a Crocetta ma alla sua istanza che appare a tutti legittima, tanto più che il partito non tocca nemmeno l’argomento perché privo di ragioni contrarie fondate. Si possono negare le consultazioni in ambito regionale quando la mancata indizione di esse da parte degli altri schieramenti è imputata dal Pd come un peccato di democrazia interna? Crocetta non fa che richiederle come un Catone ossesso, senza però rendersi conto che una cosa è uscirne vincitore e prendersi certamente una bella soddisfazione e un’altra essere rieletto presidente, cosa molto difficile per il probabile e stizzito disimpegno del suo stesso partito alle urne. Il Pd perderebbe Palazzo d’Orleans ma potrebbe ben sostenere che la sconfitta sarà dovuta a quanti hanno voluto Crocetta candidato, un nome divenuto del tutto impresentabile. E a ragione, peraltro.
Crocetta rappresenta l’immaginazione frivola al potere, l’approssimazione e la superficialità erette a sistema di governo, l’istrionismo e il macchiettismo portati a regole di condotta, l’incompetenza che si fa demagogia. Si è intestato meriti, quali il contenimento delle spese, che sono invece dei presidenti delle commissioni parlamentari; ha intrapreso guerre sante contro la mafia apparse una parata donchisciottesca, tanto più che in cinque anni la mafia non solo non gli ha mai mosso alcuna minaccia ma neppure gli ha fatto “setti-babau”: ciò significa, conoscendo le dinamiche siciliane, che è colluso o non costituisce un pericolo; ha avviato riforme come quella delle Province che si sono rivelate una farsa; ha del tutto distrutto la formazione professionale; ha fatto mille promesse ma nessuna mantenuta.
La sua smisurata sete di potere e di vetrine lo ha mutato in un assetato centurione pronto a guadagnarsi l’imperio con il gladio: altri, mollati dal proprio partito, avrebbero fatto subito un passo indietro in nome di un orgoglio e di una dignità da lasciare alla storia come elemento di valutazione del politico e dell’uomo. Lui invece ha minacciato di competere con il suo solo partitino, in realtà mai esistito se non come movimento virtuale, nell’intento di dare battaglia al partito che lo ha eletto prima sindaco, poi eurodeputato, poi governatore e lo ha pure salvato da tre mozioni di sfiducia.
Tuttavia sta costringendo, con buone possibilità di riuscirci, il suo partito a scendere a patti e inghiottire un rospo indigeribile. La colpa è anche del fatto che non è stato trovato un candidato sostenibile che non fosse un egregio signore indicato da un altro genio distruttore, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che dopo aver sfasciato l’Anci per il piacere di esserne il solo reggitore, ora sta provando a mettere ai suoi piedi tutto il Pd. Che un candidato già ce l’ha ed è Claudio Fava, figliol prodigo ma sempre di area. Perché no? Se Berlusconi rinuncia ad avere un candidato di Forza Italia e cede alle pressioni degli alleati, accettando il serio rischio che assessori possano essere uomini di Gianfranco Fini, perché il Pd non può fare altrettanto e lavorare per una larga alleanza di sinistra scegliendo un uomo che nel Pd ha anche retto incarichi di rilievo? .
In realtà, se Pietro Grasso, presidente del Senato e siciliano, avesse accettato di candidarsi, le elezioni regionali del 5 novembre si sarebbero già chiuse da un pezzo con un esisto plebiscitario. Ma Grasso, a parole attaccatissimo alla Sicilia, ha detto no al Pd che lo ha voluto a Palazzo Madama e si è assunto una enorme responsabilità che ha carattere oggettivo: perché un uomo politico non può dire no al partito se viene chiamato ad assolvere a una funzione istituzionale, per pensare invece al solo prestigio della sua posizione, alla sua comodità e alle sue ulteriori prospettive di successo personale. Renzi che lo ha promosso avrebbe dovuto ingiungergli di tornare in Sicilia dove anche l’opposizione lo avrebbe votato, creando così un modello che avrebbe dato un senso concreto all’idea di personalizzazione della politica vagheggiata dallo spirito originario della Seconda repubblica inteso a superare la partitocrazia.
Così non è stato e la Sicilia si trova in una palude della quale non si distinguono neppure i contorni, dove partiti e candidati assumono posizione secondo criteri mercenari. Angelino Alfano, il cui partito si chiamava Nuovo centrodestra, è diventato organico al Centrosinistra e in Sicilia è passato dalla mattina alla sera da un annuncio di adesione al Centrodestra a un altro di partecipazione al Centrosinistra. Musumeci, finalmente candidato anche di Forza Italia, non si fa velo di reclutare alleati e sostenitori nei ranghi del Centrosinistra e invita Lentini, attestato a sinistra, a venire con lui; Lagalla, in partenza possibile candidato governatore di Forza Italia, si trova alla data di oggi schierato con il Pd, ma Micciché non ha esitato a offrirgli un assessorato se ripassa il confine.
Tutti stanno facendo i conti senza pensare agli lettori, indotti in uno stato di confusione nel quale l’unica scelta è l’astensionismo secondo il principio che tutti i gatti sono bigi. In questa prospettiva, se votare Centrodestra o Centrosinistra è la stessa identica cosa, la soluzione che rimane a chi voglia comunque andare a votare non è che preferire i grillini, che sono dati ovviamente per superfavoriti e che queste elezioni le possono perdere unicamente da soli. Se in questi due mesi riescono a fare dimenticare in Sicilia la sindaca di Roma e se la Raggi nel frattempo concluderà qualcosa di veramente buono, il risultato sarà scontato. Si parlerà di populismo, ma la differenza non sarà granché diversa dalla natura dei governi Crocetta, campione indiscusso nel rendersi corrivo alla piazza.
Non si prepara una bella campagna elettorale. Le forze politiche nazionali stanno usando la Sicilia come terreno in cui schierare le avanguardie in vista della battaglia il cui bottino sarà Palazzo Chigi. E’ sempre stato così, in effetti, ma stavolta sembra proprio che i leader nazionali si servano di quelli locali come camerieri o cani cui fare assaggiare prima i pasti nel sospetto che siano avvelenati.

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