LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Italia plurale

Libri.

La copertina di L’Italia cattolica nell’epoca del pluralismo, di Franco Garelli (il Mulino, 2006), mostrava una bella foto di una donna velata in primo piano, con sullo sfondo la Cupola di San Pietro. In quel volume, Garelli ci descriveva un’Italia il cui pluralismo religioso era per lo più ancora intra-cattolico, data una presenza di fedi diverse rispetto a quella cattolica ancora ridotta (il 2-3% della popolazione), alimentata dai flussi migratori ma ancora di molto al di sotto rispetto al panorama religioso europeo e occidentale. Religione all’italiana. L’anima del paese messa nudo (il Mulino 2011) offre un aggiornamento della mappatura del panorama religioso italiano. In base agli ultimi dati, la presenza di fedi altre dalla cattolica rappresenta un fenomeno in forte crescita, che riguarda circa il 5% della popolazione. Islam e cristianesimo ortodosso, naturalmente, ne sono la componente maggioritaria, che ha ormai superato la ‘soglia psicologica’ dell’1%, a cui si aggiungono non solo le minoranze storiche, protestanti ed ebraica, ma una varietà di religioni orientali (buddismo e induismo in primis), seguaci della New Age e dei nuovi movimenti religiosi (Nmr). La conclusione di Garelli e dei collaboratori del suo gruppo di ricerca è che oggi l’Italia è un paese religiosamente differenziato per tre ragioni: 1) in virtù del pluralismo interno al mondo cattolico, sempre molto accentuato; 2) in virtù di una crescente soggettivizzazione della fede, che va avvicinando l’Italia agli sviluppi propri della religiosità moderna in altri paesi; 3) in virtù di una crescente presenza di fedi altre rispetto a quella cattolica. Bene, fin qui la doverosa base empirica. Ma come affronta il paese questo crescente pluralismo, soprattutto quello legato all’indebolimento (le teorie della scelta razionale e la demografia direbbero progressivo e fatale) del monopolio cattolico della religiosità in Italia? Personalmente direi “non bene”. Manca una forte cultura del pluralismo religioso da parte delle istituzioni, riscontrabile in molti settori della vita collettiva: dal mondo del lavoro alla scuola, dalle carceri agli ospedali, dai non-luoghi tipici della modernità (aeroporti, stazioni, centri commerciali) agli spazi della politica, ovunque, laddove la religione entra, in Italia solo raramente entra al plurale, in modo da garantire eguale riconoscimento anche giuridico alle diverse fedi. Siamo un paese di straordinarie eccezioni volontaristiche, lo sappiamo, ma non di costanti regolarità giuridiche. All’origine delle difficoltà concrete che il diritto alla libertà religiosa trova troppo spesso nelle pieghe della vita quotidiana in Italia, c’è l’assenza di una legge organica sulla libertà religiosa. Una battaglia ancora aperta, che dovrebbe qualificare anche un pensiero progressista democratico e di sinistra, una sinistra compiutamente postsecolare.

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