EUROPEI

Andrea Mammone

Andrea Mammone è un docente di Storia dell’Europa presso la Royal Holloway, University of London. Ha precedentemente insegnato e svolto periodi di ricerca in Francia, Stati Uniti e Italia, pubblicando di fenomeni transnazionali, Europa, politica italiana e neofascismo. È stato invitato a discutere di questi temi in giro per l’Europa e negli USA (incluso dal Dipartimento di Stato). Il suo libro Transnational Neofascism in France and Italy è stato pubblicato da Cambridge University Press. Ha inoltre curato vari volumi sulla destra in Europa e sulla società italiana. Sta attualmente scrivendo un breve libro sull’Europa di oggi e uno sulla Calabria. Vive nella capitale britannica, da dove prova a riflettere sulla politica e la storia europea. Infatti, è stato intervistato, tra gli altri, da Al Jazeera, BBC, Voice of America, Sky, The Observer, Radio 24, Il Fatto Quotidiano, Weekendavisen, Radio Rai, To Vima, TIME, The Guardian, European Voice, O Globo, New Zealand Herald, e The Economist. Ha scritto per il The Independent, International Herald Tribune, The New York Times, The Guardian, Reuters, Al Jazeera America, Washington Post, Foreign Affairs e New Statesman.

Gli sguardi di Atene

Riflettere oggi sulla Grecia e i suoi abitanti è come scrivere una poesia. È soprattutto necessario intuire le emozioni e connettersi ai silenzi di certi volti e luoghi. I sentimenti che si percepiscono, almeno in alcuni settori della società, somigliano abbastanza alla disperazione e allo scoraggiamento che aleggiavano prima del ’45. Bistrattata dalle turbolenze economiche globali e dall’inabilità delle sue elite politiche, ed eccessivamente punita dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, la struttura sociale (e psicologica) greca si è andata probabilmente modificando. Questo ha contribuito a uno strano sentire comune dove prevalgono ingiustizia e umiliazione, entrambe causate dai politici locali e dalle istituzioni comunitarie.
Atene rispecchia questa storia dei nostri giorni. È la gente comune che soffre. Sono arrivato nella capitale greca a novembre dello scorso anno (e ben prima della vittoria di Alexis Tsipras), la settimana che precedeva lo sciopero generale che ha bloccato la nazione. Non era il primo sciopero, non sarà l’ultimo. Era la prima volta che visitavo il paese. Eppure, a eccezione di qualche giovane con la barba lunga, scura e ben curata, reminiscente di un qualche Zeus e altre divinità classiche, quasi tutto mi sembrava familiare, forse in quanto originario della Calabria, una delle regioni dell’antica Magna Grecia, emigrato nella Londra cosmopolita circondata dalle ambizioni insulari di Nigel Farage. In quei giorni Atene ricordava Roma, con ombre di Napoli e schizzi di Beirut. La pace che avvolgeva i templi e gli ulivi andava mano nella mano con una rassegnazione strisciante e palpabile. La situazione non è cambiata molto a un anno di distanza.
La realtà è quindi differente dalle impressioni che si possono avere osservando semplicemente la bellezza del posto, leggendo parte della stampa internazionale, e ascoltando i politici che frequentemente richiamano la Grecia e le suggeriscono chi votare e cosa fare, non riuscendo a stabilire alcuna empatia con luoghi differenti da quelli propri. Nel luogo di nascita della democrazia, dove il termine “Europa” è inizialmente apparso, è sufficiente parlare di economia per far cambiare immediatamente qualsiasi espressione.
Quando domandai a un tassista se la situazione lavorativa fosse realmente negativa, notai i suoi occhi diventare lucidi e la voce singhiozzante. Sua nipote, visto il sistema universitario di difficile accesso, aveva dovuto trasferirsi in Inghilterra per studiare, mentre io ero fortunato perché l’Italia possiede industrie, mentre loro “esclusivamente turisti”. Poi partì con lamentele nei confronti di quei politici provenienti dalla “stessa famiglia” che guidavano il paese e tutti gli altri che “che vogliono soldi, mentre dovrebbero lavorare dalle sei del mattino alle undici di sera per aiutare i giovani”.
È impossibile scoprire quante volte le parole “Grecia” ed “economia” sono apparse nelle discussioni pubbliche e sulla stampa. Sembra che tutto sia, a intervalli regolari, focalizzato sulla situazione greca. Per lunghi mesi la caratteristica principale del continente europeo erano evidentemente diventati i meeting sulla Grecia. Gli stati europei guidati dalla Germania avevano deciso che non erano previste concessioni. Secondo il ministro delle finanze tedesco, dalle pagine dell’International New York Times di qualche mese prima, l’Europa era infatti “sul binario giusto”. Il binario sarà forse quello giusto, tuttavia qualcuno dovrebbe domandarsi dove va il treno. In pratica, visto che Berlino ottiene i risultati sperati, l’inefficienza è di tutti gli altri che non riescono ad applicare le stesse politiche nella maniera opportuna nel più breve tempo possibile (come sia possibile per alcuni paesi raggiungere le stesse condizioni strutturali e culturali di altre nazioni in pochi anni è un’altra domanda che non molti sembrano invece, e purtroppo, porsi).
In questo contesto, Syriza, in una lotta alquanto solitaria, ha almeno provato a mantenere qualche promessa elettorale (cosa della quale i politici sono generalmente accusati di disinteressarsi quasi del tutto). Tuttavia, per controbilanciare il peso di Angela Merkel, le hanno provate quasi tutte, inclusa la vicinanza religiosa con gli eredi dell’impero sovietico. Fino ad arrivare a dar voce alle richieste popolari di far pagare alla Germania le riparazioni di guerra, trasformando la lotta in qualcosa di semi-etico: sarebbero gli eventi degli anni precedenti il ’45 meno rilevanti delle “riparazioni” del debito greco?
Questo contribuisce alla sfiducia e, soprattutto, alla rabbia. La verità è che molti stati non erano e non sono preparati ad affrontare la povertà crescente. I cittadini greci non hanno sufficiente supporto pubblico. Dopo un anno di disoccupazione perdono molti diritti sociali. Questo significa, tra l’altro, che alcuni pazienti non hanno diritto a medicine gratuite. Come questo possa essere possibile nel continente dell’Illuminismo dovrebbe essere oggetto di discussione a livello umanitario e di Unione Europea. Questo è pure quello che in molti all’estero preferiscono non guardare.
Accanto ai ristoranti pieni, al Pireo, agli ateniesi in giro in scooter, e alle vetrine lussuose, esiste un’altra Atene. È la città delle file di negozi chiusi. È quella dei distretti urbani del centro diventati poveri. Esiste una fascia della popolazione, comprendente parte della classe media, che sembra essere sparita, penso per un misto di vergogna e dignità. Sono dei fantasmi. Sulla terrazza di Gazarte, un locale e centro culturale molto attivo, in una vivace zona della città, una giovane greca li definisce gli “invisibili”. È difficile connettersi con loro, e, al tempo stesso, fa male sapere che esistono.
Come una giornalista in un importante giornale (e che ha avuto una consistente riduzione di salario negli ultimi anni) mi suggerisce, alcuni greci si sono abituati a tutto questo. I suoi bambini stanno crescendo con la convinzione che sia abbastanza normale avere persone che cercano cibo e vestiti nei bidoni della spazzatura. Eppure questo potrebbe avere implicazioni sociali e psicologiche sul modo in cui si guarderà e percepirà la propria società di appartenenza tra qualche decennio, e come gli stessi legami di solidarietà saranno costruiti.
Nel momento in cui gli stati falliscono e alcune istituzioni sovranazionali sembrano vivere in un’altra galassia, è la comunità ateniese che prova a organizzarsi dal basso senza quasi nessun aiuto pubblico. Networks di medici provvedono infatti una sanità gratuita, spesso pagando essi stessi i medicinali. Il bisogno è davvero diffuso. Quando chiesi a un’attivista di Solidarity4All (un’associazione finanziata dai parlamentari eletti con Tsipras), se ricevessero molte richieste d’aiuto, mi rispose, con uno sguardo preoccupato, come loro cercassero di non pubblicizzare molto le attivitá di solidarietà proprio per paura di non riuscere ad aiutare tutti.
È quindi comprensibile come questo contesto politico e sociale abbia contribuito al rigetto di molte forze politiche tradizionali e alla doppia vittoria di un movimento di sinistra non legato al precedente establishment governativo. Syriza era pertanto giusta nel promuovere equità, redistribuzione, lotta alla corruzione, salari minimi più alti, la difesa delle pensioni, una ristrutturazione del debito, e un’Europa differente, mentre al tempo stesso questionava la legittimità delle imposizioni di alcuni suoi creditori. Atene ha quindi tentato di rispettare la volontà e la dignità dei suoi abitanti.
Invece quanto fatto da alcune elite europe è lontano dal far sviluppare pienamente il sogno di Europa. Basta guardare alla questione migranti, con l’Italia e la Grecia bacchettate se sforano di un centesimo, e lasciate fondamentalmente sole a gestire un esodo umanitario. Abbiamo oggi il bisogno di promuovere un reale engagement intellettuale con il futuro dell’integrazione tra le nazioni del vecchio continente. La necessità è quella di una discussione a livello nazionale e comunitario, locale e sulla stampa, non tanto sul futuro della Grecia e delle altre nazioni che si dovessero trovare un giorno in condizioni simili, quanto sulla natura e le priorità di questa comunità di cittadini europei.

  1. Condivido gran parte delle cose che scrivi. Anch’io,vecchio professore che ormai non insegna più ma scrive ogni tanto su IL FATTO QUOTIDIANO e su molti siti anche con tanti lettori sono triste per la crisi greca e per la forte egemonia tedesca ma non so quando e come potremo uscire da questa contingenza. Un saluto amichevole Nicola

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