COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Dopo la visita di Francesco ad al-Azhar l’incontro riparte da Beirut.

La sfida del fondamentalismo richiede risposte coraggiose e chiare. E qualcosa in questa direzione ha cominciato a muoversi prima della visita di papa Francesco al Cairo. Tanto che a fine marzo, rientrando a Beirut dal Cairo, il patriarca maronita, cardinale Beshara Rai ha detto: “ forse il nostro destino non è più quello di essere delle minoranze”. Con queste parole il porporato dava voce alle grandi aspettative alimentate dall’esito dell’ incontro sulla cittadinanza promosso nella capitale egiziana dall’Università Islamica di al-Azhar, la principale istituzione sunnita. Fu proprio il grande imam di al-Azhar a voler concludere quel simposio, leggendo lui, davanti a tantissimi ospiti giunti da tutto il Medio Oriente e in particolare dal Libano cristiano, il documento conclusivo nel quale si parla di Umma non solo in senso religioso, come comunità dei fedeli, o in senso culturale, come Umma dei popoli arabi, ma anche in senso geografico, come Umma-comunità degli abitanti di uno spazio geografico che si autodetermina come Stato governato da una costituzione per garantire il benessere di tutti i suoi cittadini, nella prospettiva del bene comune. Un testo atteso da tempo, ma non privo di forti radicamenti nel pensiero islamico, se si pensa che la definizione di umma coniata nel 1764 dal filologo indiano al-Tahanawi scorgeva in essa un’unità di religione o di luogo, a riprova che già allora l’Islam disponeva di concezioni secolari di cosa sia la “comunità”. La religione dunque, già nel Diciottesimo secolo, era un presupposto possibile, ma non il solo per la definizione di una comunità. Purtroppo il cammino successivo è stato molto diverso, nonostante la grande sebbene breve stagione della costituzione ottomana, che riconosceva tutti i sudditi del Sultano cittadini, a prescindere dalla fede professata. E così l’idea di comunità ha finito con l’escludere i non musulmani o i non arabi, dando vita a quei panislamismi e panarabismi che oggi sono al centro della crisi regionale.

L’incontro promosso dall’Università di al-Azhar a fine marzo ha posto le condizioni per la visita di papa Francesco, che in una capitale egiziana assediata da miseria, terroristi e timori ha saputo ospitarlo insieme a dignitari religiosi di ogni credo: vescovi, rabbini, dotti delle religioni dell’Estremo Oriente, tutti insieme, l’immagine dell’unità nella diversità. E la prima unità è quella della e nella Patria comune, unico modo per renderla tale e quindi “libera”: libera nell’unità delle diversità costitutive che ne sono il patrimonio, le diverse ricchezze.

Questo cambio di prospettiva è alla base dell’auspicio espresso in termini di mutamento storico dal patriarca Beshara Rai: non saremo più “minoranze”.

Un documento non fa la storia, ma senza un documento un percorso difficilmente può cominciare. Così il documento di al-Azhar può essere preso come un cartello stradale, che indica la direzione in un mondo tempestoso come l’odierno mondo arabo. E’ un’indicazione che affonda le sue radici nell’esperienza libanese. La storia del Libano infatti è questo messaggio dal momento che il Libano è nato su una Costituzione e ha trovato l’indipendenza su un Patto tra musulmani e cristiani. Solo quando si è smarrito il senso di questo patto è cominciata la guerra civile.

Ma quello libanese è un messaggio che il mondo cristiano ritiene davvero praticabile oggi? “Questo è fondamentale. E per renderlo nuovamente vivo ed evidente il patriarcato maronita convocherà un grande simposio in una delle principali università cattoliche del Paese, quella di Notre Dame, presieduto dal patriarca e aperto ai vescovi di tutte le Chiese d’Oriente”, mi dice il professor Muhammad Sammak, instancabile tessitore di incontro, di cultura del vivere insieme.

All’incontro del primo luglio saranno invitate tutte le Chiese d’Oriente, vescovi caldei, siri, melchiti, copti, armeni, ortodossi, copti e altri ancora, i 50 ospiti libanesi che furono invitati al simposio di al-Azhar. E ci saranno importanti esponenti del mondo islamico, a cominciare da una delegazione dell’Università islamica di al-Azhar, a indicare che il discorso avviato al Cairo non è stato il sogno di una notte di mezza estate, ma un’indicazione che la visita di papa Francesco ha rafforzato e che ora le comunità cristiane rilanciano. Francesco parlando ai dotti di al-Azhar, al Cairo, ha usato quattro volte la parola “popolo”, (poco usata in riferimento a egiziani, libanesi e così via) e in particolare ha affermato: “chi è differente da me, culturalmente o religiosamente, non va visto e trattato come un nemico, ma accolto come un compagno di strada, nella genuina convinzione che il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti.”

“E’ un passaggio decisivo, che è parte dell’annuncio delle Chiese cristiane” afferma il professor Antoine Courban.

Le sfide del settarismo, dell’autoritarismo, dell’integralismo, del fanatismo e del terrorismo hanno sempre ostacolato un cammino indispensabile.

Con l’idea del grande incontro libanese si rilancia la sfida dell’incontro e si cerca se così può dirsi di consolidare il fronte dei “moderati”, di chi crede nell’indispensabilità del vivere insieme in una patria comune governata sulla base di una Costituzione condivisa. L’inferno siriano, che qui a Beirut è dietro l’angolo, ricorda ai libanesi che la sola alternativa è la divisione settaria, che in Libano è già dilagata in un’interminabile guerra civile. E i libanesi non sembrano proprio rimpiangerla. Per questo l’impressione è che da qui, da Beirut, il messaggio potesse coinvolgere tutti e soprattutto essere capito in tutta la sua urgenza.

E’ per questo che molti esponenti della società civile libanese, quali cittadini del loro paese e non quali sunniti o maroniti o sciiti, sono già al lavoro per convocare ad ottobre sempre qui, a Beirut, un grande convegno sullo stesso tema, la cittadinanza comune, basata su una Costituzione laica.

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