L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Dieci e venticinque

La campagna del Monferrato era assolata e silenziosa nel primo sabato di agosto. D’estate i rumori della vita dei campi cominciano presto, in quella che per noi cittadini è piena notte, e quando la giornata per noi comincia si diffonde invece il silenzio, le voci si fanno basse perché il caldo va affrontato con calma, lentezza, sottovoce. Un cane abbaia per accogliere festosamente sull’aia, una carezza e una coda che si agita, un muggito tranquillo dal buio della stalla, una gallina che becca quietamente qualcosa che solo lei riesce a vedere. Qualche albero, sui limiti dell’aia, invita nella sua ombra a sedersi, a bere un bicchiere d’acqua, a sfogliare un giornale, a leggere un libro. La radiolina rimane spenta per non turbare il silenzio estivo, ma da qualche parte arriva il suono di inizio di un giornale radio, strano perché fuori orario; e allora si accende la radio: giornale radio, edizione speciale, notizie tragiche da Bologna. Sono da poco passate le dieci e venticinque di sabato due agosto 1980 e tutta quella pace non ha più alcun senso.

  1. Io ricordo che eravamo in spiaggia, a Numana, e che dopo il primo bagno aspettavo il momento della pizza rossa; una sorta di risarcimento dopo quel primo, gelido e poco amato contatto con l’acqua. Poi ho la memoria del silenzio, quello stesso silenzio che circonda i momenti in cui la vita è sospesa, come quando si assiste da vicino a un grave incidente stradale. Poi ricordo una specie di scossa che, dalla litoranea, percorse le ultime file per arrivare sino a quelle vista mare. Era come un’onda al contrario.
    Infine quell’agitazione silenziosa venne interrotta dagli altoparlanti – grande novità sulle spiagge – che si misero prima a gracchiare, e quindi diedero l’annuncio dell’autorità di pubblica sicurezza al posto delle solite, attese pubblicità degli eventi locali. Tra quei corpi nudi, colti in posizioni scomposte, a fermo immagine, le teste voltate all’insù, la grigia voce metallica non pronunciò mai la parola stragebomba, né esplosione né, tantomeno, morti e feriti. L’attentato era dato quasi per scontato, come un fatto: si dava avviso a chi avesse parenti e conoscenti alla stazione di Bologna, o chi fosse in attesa di parenti o conoscenti in viaggio lungo la tratta interrotta Piacenza – Bologna – Ancona, di recarsi, qualora lo ritenesse, al posto informazioni sito a… Aspettavo mio padre, pensai, ma non per quel giorno. Ricordo mia madre che si voltava di continuo verso gli amici di ombrellone, la confusione diffondersi tra le sedie sdraio, lo scalpiccio sulla sabbia dei corpi che si rivestivano e salivano in disordine verso la strada.
    Non era il silenzio composto della retorica funebre. Era sgomento. Era come se tutti sapessero e nessuno riuscisse a dire nulla.

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