L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Dedicato

Il suggerimento mi viene da una insegnante ascoltata per caso alla radio e di cui purtroppo mi è sfuggito il nome. Per fare riflettere i suoi studenti dopo i fatti di Parigi ha letto in classe questa pagina tratta da Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, in cui si descrive un episodio della ritirata dalla Russia durante la seconda guerra mondiale.
So che la commozione non serve probabilmente a cambiare nulla nel mondo, ma queste parole sono così belle che penso possano essere dedicate alle vittime del terrorismo e forse agli stessi terroristi.

… Corro e busso alla porta di un’isba. Entro.
Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria.
– Mnié khocetsia iestj – dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata.
– Spaziba – dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto.
– Pasausta – mi risponde con semplicità.
I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me come per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco.
Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esservi stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere …

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