LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Ciak, si studia. Gli 80 anni del CSC in un film a Venezia

Un po’ di nomi fra i tanti. Michelangelo Antonioni, Giuseppe De Santis, Arnoldo Foà, Clara Calamai, Alida Valli, Pietro Germi, Dino De Laurentiis, Pietro Ingrao, Néstor Almendros, Marco Bellocchio, Claudia Cardinale, Raffaella Carrà, Gabriel García Márquez, Domenico Modugno, Riccardo Scamarcio… Che cosa hanno in comune queste celebrità sugli schermi e non solo? Tutte hanno frequentato a Roma, in epoche diverse, il Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC), la più antica scuola di cinema del mondo dopo il rivoluzionario VGIK di Mosca fondato nel 1919 all’indomani della vittoria dei bolscevichi. A far nascere il CSC penserà invece il fascismo. Benito Mussolini al pari di Lenin vedeva nella cinematografia “l’arma più forte” e senza dubbio i regimi autoritari furono i più scaltri nell’intuire le potenzialità dei mass media ai fini del consenso.

Il duce in persona inaugura nel 1935 il cantiere del complesso edilizio di via Tuscolana 1520, un’area alla periferia sud di Roma in vista dei Colli Albani, allora in piena campagna. Parte delle risorse necessarie vengono dai proventi del casinò di Venezia. Siamo non lontano dalle rovine dell’Appia che avrebbero ispirato la vibrante Poesia in forma di rosa di Pasolini: “Giro per la Tuscolana come un pazzo, / per l’Appia come un cane senza padrone. / O guardo i crepuscoli, le mattine / su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti della Dopostoria…”.

Qualche mese dopo là dirimpetto sarebbero cominciati i lavori per la costruzione di Cinecittà, conclusi nel 1937 insieme a quelli per il CSC. A progettare il Centro Sperimentale fu Antonio Valente, architetto e scenografo ciociaro (nativo di Sora, lo stesso paese di Vittorio De Sica), che per il fascismo aveva già concepito l’aggiornamento motorizzato dei famosi Carri di Tespi, padiglioni teatrali ambulanti che sostavano nelle piazze con le loro rappresentazioni sempre molto affollate.

Il CSC, insomma, compie ottant’anni in questi mesi e anche la Mostra di Venezia li festeggia con un incontro informale cui prenderanno parte il preside Caterina d’Amico e alcuni docenti ed ex allievi. Si svolgerà domani sera nei Giardini del Palazzo del Cinema e a seguire vi sarà la proiezione del film documentario al Centro del Cinema. Ottant’anni sono un periodo lungo in cui davvero tutto è cambiato, tranne la divorante passione per il cinema dei “ragazzi di via Tuscolana” e dei loro docenti, fra i quali Gianni Amelio e Roberto Perpignani che hanno coordinato il lavoro sui materiali di repertorio del doc al Centro del Cinema, attingendo dall’enorme patrimonio della Cineteca Nazionale che venne istituita nel 1949 e accorpata al CSC.

La collezione della Cineteca Nazionale, attualmente diretta da Emiliano Morreale, conserva circa 120.000 pellicole dal cinema muto ai giorni nostri e si occupa del restauro delle opere. Una parte della raccolta è costituita dalle pellicole nitrato, alcune delle quali sono copie uniche, altamente infiammabili e quindi pericolose (un rogo del grande Teatro di posa del CSC nel 1987 ne distrusse alcune centinaia).

Primo direttore del CSC fu il critico letterario Luigi Chiarini, la cui figlia Antonella sposerà l’editore barese Vito Laterza il quale non caso, contravvenendo al dettato di Benedetto Croce, pubblica importanti testi sul cinema. Con Chiarini, che è già avverso al cinema consolatorio dei “telefoni bianchi” tipico dell’epoca, salgono in cattedra studiosi quali Umberto Barbaro e Francesco Pasinetti. S’iniziano le pubblicazioni della rivista “Bianco e Nero” e sulle sue pagine prende avvio una timida fronda antifascista che fu di fatto tollerata perché uno dei figli del duce, Vittorio Mussolini, era ammirato da Hollywood dopo averla visitata nel 1937, dirigeva la rivista “Cinema” ed era sodale di Luchino Visconti, Luciano De Feo, Corrado Alvaro, Michelangelo Antonioni, Carlo Lizzani e Giuseppe De Santis.

Così, prima che sui set improvvisati di Ossessione o Roma città aperta, è al CSC che sboccia il neorealismo, presto in grado di influenzare autori di tutto il mondo. Dopo la guerra il Centro comincia ad attrarre anche studenti di altri paesi, molti dall’America Latina come il colombiano García Márquez (il futuro premio Nobel non si diplomerà perché abbandona la scuola per protesta) o gli argentini Fernando Birri e Manuel Puig. Tocca alla generazione ribelle di Silvano Agosti, Marco Bellocchio, Liliana Cavani, Roberto Faenza, Nanni Loy, Francesco Maselli, Folco Quilici, ma in quelle aule studiano anche a Raffaella Carrà, la prima vera showgirl televisiva che recitò al fianco di Frank Sinatra in Il colonnello Von Ryan, e Domenico Modugno, il nostro Mister Volare.

Siamo dalle parti del fatale Sessantotto e alle stagioni dell’utopista Roberto Rossellini che “decostruisce” la formazione tradizionale e proietta il CSC verso un futuro inter-disciplinare, promuovendo una controversa “autogestione” studentesca. Approda in via Tuscolana Carlo Verdone, figlio di un grande studioso, Mario, che vi aveva insegnato, ma il vero rilancio si realizza nei primi anni Ottanta grazie all’impegno di Giovanni Grazzini, allora critico del “Corriere della Sera”, coadiuvato da Ernesto G. Laura. Alla guida della scuola gli succedono, fra gli altri, Lina Wertmueller, Alfredo Bini, Orio Caldiron e Lino Micciché. Poi nascono le sedi distaccate del CSC e specializzate in animazione o documentario, da Milano a Torino, da Palermo a L’Aquila. Il sogno di celluloide continua nell’era digitale. Ciak, si studia.

Il film “al Centro del Cinema” sarà presentato oggi 6 settembre, alle 22 per Il Cinema nel Giardino; la proiezione sarà preceduta alle ore 21 da un incontro, moderato da Oscar Iarussi, che vedrà la partecipazione di Gianni Amelio, Francesca Archibugi, Nicola Giuliano, Alba Rohrwacher, Stefano Rulli e Caterina d’Amico. 

Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 5 settembre 2015

 

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