L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Chat angelica

Il riferimento all’ipotesi di un Wifi medievale, di cui si è parlato due post fa, mi ha indotto a riflettere su un possibile uso metaforico di taluni temi discussi dai pensatori medievali per fare riferimento a questioni caratteristiche della tecnologia dei nostri giorni, che ha portato in primo piano la teoria della comunicazione, divenuta ormai la scientia scientiarum del mondo contemporaneo. Credo si possa dire che, più di quella che serve veramente a trasmettere informazioni, la vera comunicazione per la comunicazione sia rappresentata dai social network e dalle chat. Facebook propone agli utenti un rettangolino in cui li invita a esprimersi, chiedendo loro non che cosa vuoi dire oppure che cosa vuoi comunicare, ma che cosa stai pensando. Si tratta del sogno di una comunicazione immediata, in cui basta pensare per rendere evidenti agli altri i nostri pensieri, quando il verbo interiore – come direbbero i medievali – diventa immediatamente verbo esteriore o, forse meglio, non ha bisogno del verbo esteriore per essere condiviso.
Attraverso un processo di smaterializzazione della relazione comunicativa si tende verso una sorta di coincidenza della intenzione di comunicare, del fatto stesso del comunicare e di quanto si intende comunicare. Proprio questa sovrapposizione descrivono i medievali quando discutono della comunicazione angelica, che avviene tra soggetti puramente spirituali – potremmo dire virtuali? – che possono addirittura fare a meno anche di quei segni che noi siamo comunque costretti a inserire nel rettangolino di Facebook o della chat.
Nella questione 107 della prima parte della Summa theologica, Tommaso d’Aquino osserva che

il linguaggio esteriore, che si realizza per mezzo della voce, è per noi necessatio a causa dell’ostacolo rappresentato dal corpo (per obstaculum corporis).

All’angelo, privo di questo tipo di opacità, il linguaggio esteriore non serve,

gli si adatta solamente il linguaggio interiore il quale, nel suo caso, comprende non solo l’espressione interiore del pensiero, ma anche il suo essere ordinato, per mezzo della volontà, al fine di essere comunicato ad altri.

Diversi sono i problemi che Tommaso discute negli articoli successivi, ma colpisce la questione posta nell’articolo 5, che oggi accosteremmo al problema della privacy. La mancanza di ogni mediazione sensibile rende irrilevante la distanza e dunque quanto un angelo comunica – e per questo gli basta pensare – dovrebbe risultare percepibile da tutti gli altri angeli. Giocando con l’analogia, viene da chiedersi se possiamo essere sicuri che quanto esprimiamo nella stanza privata della chat o nei messaggi di facebook non sia visibile da tutti gli altri partecipanti di questo momentaneo sogno della comunicazione virtuale. La risposta di Tommaso è ottimistica – nel senso della difesa della privacy -:

il pensiero di un angelo è percepibile da un altro angelo solo perché il primo, per mezzo della volontà, lo predispone a essere manifestato all’altro; per cui è possibile che, grazie a qualche causa – aliqua causa -, possa essere manifestato a un angelo, ma non a un altro angelo.

Ciò che più è interessante nella risposta del doctor angelicus è che il fondamento della soluzione proposta appare abbastanza debole: un uomo può parlare a un solo altro uomo, per cui, a maggior ragione, questo deve essere possibile anche per un angelo. Ma allora l’angelo sembra davvero diventare il sogno di una comunicazione umana smaterializzata e oggi dobbiamo sentirci tutti più responsabili: se l’uomo perdesse, nelle relazioni virtuali, il privilegio di rapporti del tutto privati, a maggior ragione – multo magis – rischierebbero di perderlo anche i nostri amici spirituali. Abbiamo delle responsabilità anche se – come direbbe Humphrey Bogart – non siamo angeli.

  1. D’accordo su tutto quello che dice Simone, tranne che sulla metafora dell’incubatore. Anche così il Medioevo sembra avere uno statuto del tutto particolare rispetto a ogni altro periodo storico: i meriti che gli vengono riconosciuti sono sempre in funzione di altro, di quanto viene dopo. Sarebbe davvero strano definire la civiltà o il pensiero greco come incubatori del Medioevo, mentre del Medioevo si può dire. Il sogno dello storico di questo periodo è davvero modesto: che finalmente diventi un periodo come tutti gli altri.

  2. Al di là del tono leggero e divertente dell’intervento trovo queste osservazioni del Prof. Parodi filosoficamente degne di nota. Non sono pochi gli storici della scienza (e della tecnica) che hanno messo in luce come la rivoluzione scientifica si sia avvalsa della secolarizzazione di concetti cari alla teologia medievale; in fondo quest’ultima ha rappresentato una sorta di incubatore concettuale, un contesto “esterno” nel quale sono stati elaborati modelli e concetti di ogni tipo, compresi quelli che oggi utilizziamo per descrivere scientificamente la natura e quelli in base al quale pianifichiamo i nostri interventi di manipolazione tecnica di essa.

  3. Un’attenta lettrice mi ha fatto notare che le mie suggestioni medievali devono avere influenzato anche la pubblicità paradisiaca della Lavazza.
    1. “Questo è lo stesso caffè che bevevo da giovane” – “Si sarà raffreddato” : problema della suppositio.
    2. “Ah quanti ricordi!” – “Non pensare a quelle cose perché qui si vedono tutti i pensieri” : problema della comunicazione angelica.

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