DA MADRID

Marco Calamai

ingegnere, dirigente sindacale CGIL, funzionario Nazioni Unite. Giornalista, ha scritto libri e saggi sulla Spagna, America latina, Balcani, Medio Oriente. All'ONU si è occupato di democrazia locale, dialogo interculturale, problematiche sociali, questione indigena. Consigliere speciale alla CPA ( Autorità Provvisoria della Coalizione, in Iraq (Nassiriya) si è dimesso dall'incarico ( 2003 ) in aperta polemica con l'occupazione militare. Vive a Madrid dove scrive su origini e identità.

Catalogna, separatisti di destra e separatisti di sinistra

La Catalogna ha quindi votato. I separatisti hanno confermato la loro forza elettorale: oggi, come ieri, rappresentano si o no metà degli elettori. Mas, il leader di CyU, il partito moderato espressione tradizionale della dinamica borghesia catalana, ha perso clamorosamente anche se resta il partito di maggioranza relativa. Ha perso infatti una fetta importante del suo elettorato, che questa volta ha preferito Ezquerra Repubblicana (Erc) il partito che lotta, da sempre, per una repubblica catalana indipendente. Una bella botta per il leader separatista conservatore, il quale pensava, anticipando il voto di ben due anni, di conquistare al suo partito la maggioranza assoluta alzando la bandiera dell’indipendenza. Risultato: ha perso ben 12 seggi ed è sceso a 50.

Per governare dovrà quindi allearsi con Erc la quale gli passerà la fattura “sociale” ovvero un radicale cambio di rotta rispetto alla politica economica fin qui seguita fatta di tagli alla spesa che hanno duramente colpito i ceti popolari. Questo aspetto del voto viene trascurato, in generale, dalla stampa spagnola. La sconfitta di Mas e del nazionalismo moderato sta proprio in questo: il fermento separatista non può essere strumentalizzato, come ha fatto Mas, per sfuggire al severo giudizio popolare su una austerità a senso unico, ovvero identica nei fatti a quella perseguita dall’ultra conservatore governo Rajoi. Esiste infatti un separatismo di destra ma anche uno di sinistra.

Altro dato su cui riflettere è la brusca caduta di voti del partito socialista catalano. Il Psc aveva tentato di limitare i danni sposando la tesi del Federalismo come risposta al separatismo. Già, ma lo ha fatto all’ultimo momento. E gli elettori, che seguono con attenzione le dichiarazioni di un ceto politico di cui diffida, non hanno abboccato. La verità è che i socialisti catalani, come il Psoe, sono metà federalisti e metà centralisti. Quindi non convincono. Ma dove sono andati i voti persi dal Psc? Bene, l’analisi del voto parla chiaro. Sono andati ad altri partiti della sinistra, più decisi e fermi nella critica alla politica economica di pura austerità rispetto alla quale il Psoe nel suo complesso continua a balbettare, incapace, per ragioni tutte da esplorare, di presentarsi al paese con un programma alternativo che salvi il Welfare State, rilanci la crescita  e condizioni il sistema bancario, ovvero la causa principale della crisi.

Il voto catalano, quindi, non è di buon auspicio per il Pp al potere, ma non lo è neanche per i socialisti. Si riconferma, in Spagna, per i due principali partiti, un serio problema di credibilità. E quindi di leadership. Se non verrà seriamente affrontato, e i tempi sono sempre più stretti, incertezza e malessere di una società che non vede più un futuro positivo di fronte a sé, tenderanno a crescere.

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