L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Anni lontani

Le idee forti, le speranze palingenetiche, il regno dello spirito, il sole dell’avvenire sono tutte cose pericolose e la storia lo ha dimostrato con abbondanza infinita di esempi. Ieri erano le idi di Marzo e quante speranze di rinascita e di nuove aperture probabilemte hanno guidato almeno alcuni dei congiurati di quelle lontane idi romane in cui il potere era nelle mani di Giulio Cesare; eppure la loro vittoria porta dopo poco all’impero e all’impero di un caporale conducono anche la presa della Bastiglia e la drammatica decapitazione del sovrano assoluto.
Quando vincono, quelle ideologie forti rischiano sempre di capovolgersi nel loro contrario. Per questo, quando mi è capitato di ripensare agli anni formidabili – per definirli con l’aggettivo usato da Mario Capanna nel suo libro di dieci anni fa – che ebbi la ventura di vivere, sono arrivato alla conclusione che forse devo essere contento che quel sogno sia stato sconfitto, perché chissà cosa mai sarebbe successo, se fosse riucito a vincere. Mi è parsa a lungo una conclusione triste. Non sembra bello dover confessare non solo che la mia generazione ha perso – come scrisse Giorgio Gaber in una straordinaria canzone o forse poesia – ma anche che è meglio sia andata così.
Ma oggi, come spesso capita, non sono più d’accordo con me: è un grande privilegio aver avuto la possibilità di vivere un sogno, che pure proponeva il pazzesco progetto di portare l’immaginazione al potere, senza dover prendere atto che la storia quasi sicuramente ne avrebbe capovolto le apparenti conquiste. Quasi certamente è stata proprio la sconfitta a permettere ad alcune di quelle conquiste di radicarsi nella società e a consentire a una generazione di ventenni di vivere il sogno di un mondo che pareva avere, e forse aveva, vent’anni come loro, perché era nato dalla carneficina della guerra mondiale.
E non è vero che tutti fossero così ingenui da credere davvero che fascisti borghesi ancora pochi mesi; molti studiavano e sapevano quindi che esiste la storia e che la storia è assai più severa di ogni possibile illusione. Personalmente credo di dovere grande gratitudine a uno dei protagonisti del movimento degli studenti milanesi di quel periodo, Luca Cafiero che, come assistente di Mario Dal Pra, mi bocciò due volte all’esame di Storia della filosofia, facendomi capire che la cultura è una cosa seria, lo studio è un impegno duro, la formazione universitaria si arricchisce con le difficoltà e gli ostacoli. Soprattutto negli anni in cui, dopo una lunga carriera politica, tornò a lavorare nel Dipartimento di Filosofia, dove stranamente ero finito pure io, anche grazie alla severità dei suoi esami, ebbi la fortuna di conoscerlo personalmente perché aveva lo studio di fianco al mio e si passavano ore a chiacchierare. Era colto, simpatico, gentile, per niente nostalgico, attento a gestire anche la portata inevitabilmente simbolica della sua presenza tra i colleghi.
Due giorni fa si è spento dopo una malattia di cui avevo sentito parlare e che mi ha impedito di incontrarlo, come avevo sperato, due anni fa a un convegno in cui era invitato. La sua scomparsa mi ha costretto a ripensare, cosa che spesso mi impegno a non fare, a quegli anni, a quella fatica, a quegli errori e non posso fare a meno di ricordare quanti nutrirono quel sogno che per fortuna è rimasto un sogno e, ne sono convinto, tornerà a svolgere la sua funzione, non appena verranno spazzati via i protagonisti del sogno dei nostri giorni, fatto di efficienza, di regole, di produttività – anche nella cultura e nell’università – e ci si renderà conto che si tratta non di un sogno ma di un incubo. Passerà, come tutto, passerà e i sogni riprenderanno il posto che spetta loro, anche grazie a persone come Luca Cafiero.

  1. Fui anch’io allievo di Cafiero, ma non per la storia della filofia (l’esame lo diedi con Pacchi), mentre l’esame – a lungo preannunciato – con Parodi, non lo diedi mai. Qui si fa l’elogio della storia, ma non si è verificato se la sua dimensione necessaria e sufficiente, il tempo, esista ancora.
    Naturalmente so bene che il tempo esiste, mi riferisco ovviamente alla sua percezione.
    Perché se il tempo si riduce alla successione di istanti (un infinitamente piccolo che è parodia di un esperimento dell’eternità), la storia si dissolve nella cronaca e l’etica che dovrebbe guidare il nostro agire nella storia finisce sul piano inclinato di un comodo pragmatismo.

  2. Quegli anni lontani, tutti ce li portiamo ancora dentro, ciascuno a modo suo, come dimostrano questi commenti … e ciascuno ne tragga le conclusioni che vuole, ma il segno lo hanno lasciato. Chi si ricorderà degli anni che passano ora, per noi invano, se non per i nostri ricordi? Ma non è nostalgia, è il senso che quegli anni hanno avuto e hanno ancora per noi.

  3. Caro professore di cui ho il vivido ricordo di quando tre anni fa mi sottopose ad un esame vecchia maniera – quasi due ore – al termine del quale riuscii a strapparle un 28/30.
    Tanta acqua è passata sotto i ponti, ho preso la mia laurea triennale e adesso sto per completare il ciclo.
    A quasi 62 anni, lavorando, riprendere gli dtudi e terminarli con successo, per me che vissi quegli anni in prima fila è qualcosa di grande che credo di dovere anche all’insegnamento di Luca: essere sempre i migliori per essere credibili.
    A questo punto, anche quel suo esame che allora mi parve eccessivo rientra giustamente nel quadro e negli insegnamenti di un uomo alieno dalle manifestazioni esteriori e concreto.
    Pensi che ha voluto che al suo funerale non ci fossero né corone né bandiere, solo un breve discorso (ha scelto lui chi lo foveva fare) e conclusione con Yellow Submarine perché gli pareva abbastanza allegra.

  4. Ma va, si vada a rileggere cosa accadeva in quell’epoca. E poi faccia le dovute valutazioni. Senza paraocchi. Si accorgerà che forse lei ancora non ha una tessera obbligata e può valutare criticamente … -o parliamo terra terra baciare la sua ragazza o consorte in pubblico – o meglio un po’ di diritto allo studio o al lavoro lo deve a quelle intelligenze a quelle passioni … che sono le stesse che ora si oppongono alla miseria e alla tracotanza governista e pone il diritto democratico alla partecipAZIONE AL VOTO e alla difesa di quello che ci è rimasto di costituzione repubblicana e antifascista. Ce ne vorrebbero di Luca…

  5. STTL (sit tibi terra levis), e mi unisco anch’io al ricordo e al rimpianto per una persona certamente fuori dal comune. preparata, molto intelligente, molto colta, sensibile, attenta alle reazioni degli altri.
    E cattiva, come è giusto e anche vivaddio normale. Almeno negli anni in cui l’ho conosciuto io da studentessa in Università e durante certe fasi del sogno collettivo che in molti abbiamo sognato e che per certe cose si è realizzato tanto da farci talvolta sentire quasi in colpa; per altre, troppe, per niente.
    E dunque molto mi spiace di non aver più potuto frequentare Luca Cafiero dal 1972; nessuno dei due più a Milano, percorsi troppo diversi, nessun contatto.
    E mi dispiace proprio tanto di aver perso i suoi anni dopo quella fase: da lui e con lui avrei capito meglio – sono certa – cosa diavolo era successo e cosa stava succedendo.

  6. Da ragazzi eravamo grandi amici al punto che ho dato il suo nome al mio primo figlio. Ci perdemmo di vista quando andò in Parlamento e da allora non ci siamo più visti né sentiti, ma condivido appieno il giudizio morale sull’uomo e il docente. Come dice la saggezza popolare, Sono sempre i migliori quelli che se ne vanno e Luca non c’è più mentre Silvio B è ancora lì: peccato davvero.

Rispondi a Giuseppe Veronica Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *