L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Agende e libero arbitrio

Lo so che si tratta di malattia professionale, ma quando seguo gli avvenimenti contemporanei mi viene talvolta la tentazione di immaginare come si potrebbero interpretare in qualcuno dei contesti medievali che vado studiando da qualche decennio. Nessuna tentazione di sostenere che siamo arretrati perché ancora poniamo problemi antichi, ma solo la convinzione che, ammesse le ovvie ed evidenti differenze storiche, gli uomini ragionano su problemi che in ultima analisi sono assai simili, anche se discussi ed espressi in forme di linguaggio e con riferimenti teorici assai differenti.
Da millenni il pensiero occidentale tenta di capire se l’uomo sia in grado di essere padrone delle proprie azioni, se abbia cioè la possibilità di scegliere se agire e come agire. E’ il classico problema del libero arbitrio che nasce nel pensiero antico – la necessità del fato nei tragici greci è forse una delle risposte più drammatiche – e successivamente diviene centrale nel pensiero medievale che cerca, spesso invano, di coniugare potere divino e libertà umana.
Tommaso d’Aquino osserva che, tranne il caso in cui si tratti della felicità somma, che l’uomo desidera in modo necessario – ex necessitate beatitudinem homo vult, nec potest velle non esse beatus, aut miser (Summa Theol. I-II, q. 13, a. 6) -, le scelte dell’uomo riguardano non il fine ma i mezzi, non il bene perfetto ma quelli particolari – Electio autem, cum non sit de fine, sed de his quae sunt ad finem, ut iam dictum est; non est perfecti boni, quod est beatitudo, sed aliorum particularium bonorum (Ibid.) – e dunque l’uomo sceglie liberamente – Et ideo homo non ex necessitate, sed libere eligit (Ibid.) -.
Per dirla con il linguaggio aristotelico che gli è proprio, secondo Tommaso il libero arbitrio è sostanzialmente atto della volontà, mentre formalmente è atto dell’intelletto: La scelta infatti comporta sia la capacità intellettuale di distinguere le diverse possibilità, sia la volontà di perseguire quella che risulti migliore – Eligere enim … importat discretionem et desiderium (II Sent., d. 24, q. 1, a. 1) – per cui si può dire che il libero arbitrio sia una facoltà che implica sia ragione sia volontà – Unde patet quod liberum arbitrium virtutem voluntatis et rationis colligit (Ibid.) -.
La ragione fornisce la forma della scelta, descrive le alternative, propone le vie che si possono seguire, cerca di comprendere come i mezzi si rapportino al fine e su questa base la volontà può scegliere. Ma allora, quando Monti dichiara, nella sua ultima conferenza stampa: Resto perché abbiamo posto solo i semi delle riforme strutturali e moltissimo resta da fare. Ma per farlo serve una evoluzione politica che consenta di superare lo storico asse destra-sinistra con un nuovo asse imperniato su Europa e riforme, che forma propone alle nostre scelte politiche?
Poniamo pure che l’asse destra-sinistra sia una forma superata per le scelte che dobbiamo fare, ma Europa e riforme non sono una proposta alternativa, sono semplicemente due espressioni che rappresentano un fine e non i mezzi. Naturalmente è sottinteso che non abbiamo a disposizione molte opportunità di scelta ma solo cose da fare – agenda direbbe appunto uno scolastico medievale, esattamente come dicono i seguaci del professore – che si pretende si impongano da sé, quasi rappresentassero la beatitudo.
Non intendo affatto esprimere un implicito giudizio negativo, ma solo proporre una riflessione sull’appannarsi della fiducia nel libero arbitrio. D’altra parte appartengo a quella generazione che, a suo tempo, si ubriacò di ideologia e si convinse di aver trovato la forma storicamente necessaria per le scelte da fare e dunque vivo anche come una specie di contrappasso questo trionfo – speriamo finale – della morte delle ideologie e quindi della convinzione stessa che siano sempre molteplici i mezzi per raggiungere un fine.
Tuttavia, dal momento che non riesco a liberarmi di questa fede nella pluralità, spero di non risultare troppo antico se confesso che la morte delle ideologie mi appare davvero come la forma più forte di ideologia che mai sia stata prodotta.

  1. Sulla morte delle ideologie = la massima ideologia e la più pericolosa sono d’accordissimo. Ma qui volevo ricordare agli amici qualcos’altro, un fatto concreto, un utile volumetto che sta per uscire sul tema necessità / libertà da Boezio a Leibniz, numero monografico del 2013 della gloriosa Rivista di Storia della filosofia fondata da Dal Pra. Caro Massimo passami questo pseudo commento: non c’é conflitto d’interesse anche se io ci ho lavorato con Fedriga e con te. I saggi sono di notissimi studiosi e tu sai bene che il conflitto da evitare é quello economico e di potere. Ma in questo caso, dai, per fortuna c’é soltanto la comune passione per i nostri studi e il nostro lavoro, oltre al desiderio di diffondere le idee e le discussioni sull’argomento. Non ci possiamo permettere altra pubblicità … D’accordo?

  2. Qui muore tutto, Dio, le ideologie, e che cosa ci resta? l’agenda? che come ha scritto Francesco Merlo su Repubblica (24.12.2012) esprime la doppiezza del gerundio, o più propriamente del gerundivo? Le perifrastiche passive al posto delle ideologie! semplifichiamo o complichiamo? in apparenza passiamo dall’utopia al sano pragmatismo imposto dalle circostanze, ma in realtà il professor Monti, sempre secondo Merlo trasformato dal suo motto “chiamatemi agenda” in “gerundio d’Italia”, ci gabella ancora sottobanco, per la gioia di Alessandro De Nicola, l’utopia della “mano invisibile”. Giacché a suo dire sarebbero proprio il libero mercato e la libera concorrenza a regalarci l'”equità”! L’ideologia non è morta, ma si ripresenta sotto le mentite spoglie della perifrastica passiva. E in virtù della sua apparente inevitabilità dovremmo prendere sul serio questi economisti neoliberisti che “non hanno visto la crisi, hanno predetto disastri per i deficit che non sono avvenuti, promettono possibilità che mai si realizzano”? e che “a fronte di ciò, non riesaminano mai quanto hanno detto, ma cambiano argomento”? (James K. Galbraith, Pubblico, 28.12.2012, p. 10) No, non accettiamo come un fatto la morte delle ideologie, diciamo piuttosto che l’onnipervasività dell’ideologia corrente ce l’ha resa invisibile. Ma non è poi così invisibile quel tanto di sanità e di scuola che giorno dopo giorno la provvida mano ci viene equamente togliendo.

  3. Che posso dire, so che non è serio … ma quando mi trovo a dover agire ex necessitate come in questi giorni, perché nelle costrizioni del classico colpo della strega, e so che è un frutto del libero arbitrio perché i miei malanni dipendono da un colpo che ho preso trent’anni fa in palestra, che nessuno mi costringeva a frequentare, mi chiedo se non c’è una relazione tra l’esercizio del libero arbitrio e il trovarsi rinchiusi nella necessità … Aveva ragione Epicuro, la necessità è un male ma non c’è nessuna necessità di essere nella necessità – salvo il fatto che siamo noi a costringerci in essa -. La morte delle ideologie, hai ragione, è una delle costrizioni più forti; ma quanti di noi ci hanno giocato, con quell’oggettino che sembrava comodo comodo? e quanti ora vorrebbero non averlo fatto? e non sanno come tornare sui loro passi? non lo so, giro la domanda a loro … Che magari intendevano ideologia à la Lukacs (si scrive così? non ricordo nemmeno più) …

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