Dopo l’ubriacatura populista, la politica ha dimenticato gli immigrati

“Immigrati per favore non lasciateci soli con gli italiani!” era la battuta di un writer metropolitano che nel 2008 fece il giro del web. Era la risposta al “Se ne tornino a casa loro” che la Lega di governo si apprestava a tradurre in politiche severe di contenimento, espulsione, respingimento degli stranieri alla frontiera.

Con sollievo, grazie al Dossier Statistico Immigrazione 2012 della Caritas, scopriamo che gli immigrati non se ne sono andati, anzi non hanno smesso di arrivare, nonostante tutto. Nonostante il reato di clandestinità, nonostante l’inasprimento della detenzione amministrativa nei centri di identificazione ed espulsione, nonostante le tasse sui permessi di soggiorno, nonostante la crisi che sottrae posti di lavoro e fa vacillare i progetti di futuro. Sono scomparsi dalle cronache e dall’informazione, finito il tempo della “grande paura” alimentato dalla destra xenofoba, ma gli stranieri continuano a vivere e lavorare in Italia. Ad essere assente, latitante, insufficiente, è invece la politica italiana, che sembra lontana, a dispetto degli ormai 40 anni di storia del paese come terra di immigrazione e asilo, dall’affrontare il fenomeno come una caratteristica stabile e positiva. A proposito, non si è avvertita la totale assenza del tema nel confronto dentro e fuori la tv tra i candidati alle primarie del centrosinistra?

Secondo il Dossier, che come ogni autunno da ormai 22 anni fa il punto sulla situazione dell’immigrazione in Italia, gli stranieri nel nostro paese sono poco più di 5 milioni, un numero appena più alto di quello stimato lo scorso anno. Il tasso d’incremento degli ingressi è diminuito, ma di poco, e non ha intaccato il numero complessivo delle presenze. Non solo, ma si segnala una tendenza alla stabilizzazione della condizione giuridica e sociale degli stranieri: aumentano i lungo soggiornanti, gli imprenditori e gli occupati in numeri assoluti, che sono oggi un decimo della forza lavoro totale. Di contro, però, aumenta (più di quello degli italiani) il tasso di disoccupazione della popolazione straniera e scende lievemente il tasso di attività (che resta tuttavia, al 70%, di 9 punti più elevato di quello degli italiani), a riprova del fatto che la crisi colpisce duro anche nei settori in cui c’è meno concorrenza e più richiesta, nelle fase più basse e meno retribuite del mercato del lavoro, dove notoriamente gli immigrati sono la maggioranza.

Gli stranieri si confermano, nonostante la crisi, componente essenziale del tessuto sociale e produttivo del paese. Chi è affezionato all’appuntamento con il Dossier sa che, al di fuori delle rappresentazioni riduttive e distorte che circolano nell’opinione pubblica, è suo grande merito far rispecchiare annualmente l’Italia in questa realtà.

C’è poi un’altra tendenza importante che emerge dal rapporto, e che fa capo agli aspetti normalmente definiti “emergenziali” del fenomeno: l’arrivo via mare nel 2011 di circa 60mila persone provenienti dai paesi del Nord Africa, prima dalla Tunisia, poi dalla Libia. È stato il primo effetto collaterale della cosiddetta “Primavera araba”, un flusso di grandi proporzioni che ha fatto franare la politica di contenimento repressivo avviata nel 2009 con gli accordi Italia-Libia sui respingimenti, e che ha portato alla presentazione di un numero di domande d’asilo (37mila) tre volte superiore all’anno precedente.

Insomma, gli stranieri continuano a cercare in Italia una via per salvarsi, o semplicemente per vivere meglio. Ma la politica italiana ha mostrato nell’ultimo anno la stessa incapacità del passato di gestire il fenomeno, aggravata dalla scomparsa del tema dal dibattito pubblico.

L’assenza e l’impreparazione pesano drammaticamente nelle politiche per l’asilo. Lo scoppio di rivoluzioni e guerre sulla sponda Sud del Mediterraneo ha posto il nostro paese di fronte alle sue responsabilità internazionali, ma la risposta messa in campo ha rivelato, ancora una volta, l’insufficienza cronica del sistema italiano d’accoglienza. È toccato a un’autorità estera ricordarci la fragilità delle politiche italiane per la protezione internazionale: il Tribunale di Stoccarda il 12 luglio del 2012 ha decretato illegittimo rimandare in Italia un richiedente asilo che, in base alle normative comunitarie, avrebbe dovuto presentare domanda nel paese di primo arrivo, adducendo come motivazione il rischio che ricevesse trattamenti inumani e degradanti, o che rimanesse senza un tetto. Se non bastasse, il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, a settembre, ha espresso preoccupazioni per l’inadeguatezza del sistema di accoglienza italiano.

Si potrebbero menzionare però molti altri campi da cui la politica è scomparsa, dopo l’ubriacatura populista che ha ristretto all’inverosimile le possibilità di vita e di lavoro di immigrati e rifugiati. Si pensi alla burocrazia opaca dei rinnovi, che condanna qualunque straniero extracomunitario a lunghe attese per quel foglio, quel permesso, che ne decreta la possibilità di permanenza regolare. Pensiamo al nodo sempre meno marginale nel dibattito pubblico e tuttavia ancora irrisolto della cittadinanza per i nuovi italiani. Pensiamo ai danni inutili causati dal “reato di clandestinità”, a cui nessun progetto di riforma ha ancora messo mano. Pensiamo al problema dell’emersione dall’irregolarità giuridica e al rischio costante degli immigrati di farvi ritorno. Per esempio, quando perdono il lavoro, visto che il permesso di soggiorno è fortemente vincolato al contratto d’impiego. La legge n.92 del luglio 2012, firmata dal Ministro Riccardi, prolungando da 6 a 12 mesi il tempo consentito per la ricerca di un nuovo posto, ha forse evitato e sicuramente eviterà in futuro l’ingresso nell’irregolarità di grandi contingenti di stranieri neo-disoccupati. Ma l’intempestività di questo provvedimento, a fronte di una crisi che dura dal 2008, ha causato nel 2011 il mancato rinnovo di ben 263mila permessi.

Irregolarità significa esclusione sociale, vulnerabilità, subalternità alle logiche del lavoro “sommerso”. E sappiamo fin troppo bene quanto prossime siano queste logiche agli interessi della malavita organizzata, come hanno rivelato i fatti di Rosarno (2010) e la rivolta di Nardò (2011), raccontata ora da uno dei protagonisti, Yvan Sagnet, in Ama il tuo sogno (Fandango, 2012). Una politica all’altezza del suo compito dovrebbe saper contrastare il legame perverso tra irregolarità e illegalità anche a partire dall’estensione delle possibilità per gli immigrati di ottenere e mantenere un titolo di soggiorno, di integrarsi socialmente, di esercitare i propri diritti e di accedere alle risorse.

È tempo che l’Italia esca dalle turbolenze adolescenziali, amplificate da populismi di ogni colore, per diventare un paese maturo nell’accoglienza e nell’integrazione degli stranieri. Perché mentre i giovani italiani prendono sempre più numerosi la via dell’estero, se il paese si salverà sarà grazie loro.

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